Plasma iperimmune, la cautela dell’Avis

Documento dell'Associazione Volontari Italiani del Sangue in merito all'utilizzo del plasma per il trattamento delle persone affette da Covid-19: «Risultati promettenti, ma sperimentazione ancora alle prime fasi».

Riportiamo integralmente un documento diffusa da Avis con alcune domande frequenti su plasma iperimmune e test sierologici.

Perché AVIS invita alla cautela?

«L’utilizzo del plasma per il trattamento delle persone affette da Covid-19 – si legge in documento diffuso da Avis nazionale – sta dando risultati molto incoraggianti in pazienti con condizioni estremamente critiche, ma è bene ricordare che le persone coinvolte nella sperimentazione sono ancora poche. Inoltre, i criteri di selezione dei donatori sono molto stringenti e prevedono una determinata quantità di anticorpi specifici che non tutti i convalescenti hanno.

Perché la trasfusione di plasma iperimmune è considerata una soluzione temporanea?

Risulta molto improbabile pensare di poter guarire tutti i pazienti di coronavirus del mondo attraverso delle trasfusioni di plasma iperimmune che, come detto sopra, deve rispondere a requisiti molto rigidi che non tutti i pazienti guariti hanno. L’obiettivo adesso è quello di riuscire a ottenere dal plasma dei convalescenti delle immunoglobuline, cioè dei farmaci plasmaderivati ricchi di anticorpi da poter sottoporre ai pazienti. Per raggiungere questo risultato, però, occorrono mesi di ricerca.

Qual è il coinvolgimento delle aziende farmaceutiche?

Ricordiamo che in Italia il sangue e tutti gli emocomponenti sono considerati un bene pubblico tutelato dalla legge. Il plasma raccolto in Italia proviene da donazioni volontarie, periodiche, responsabili, anonime e gratuite. Esso costituisce la materia prima per la produzione, attraverso processi di separazione e frazionamento industriale, di medicinali plasmaderivati, alcuni dei quali rappresentano veri e propri farmaci “salva-vita”. Attualmente l’Italia è ai primi posti in Europa per la quantità di plasma raccolta e inviato all’unica azienda farmaceutica oggi autorizzata alla lavorazione industriale. La titolarità della materia prima plasma cosi come dei suoi derivati è pubblica. Le Regioni, singolarmente o in forme associate, conferiscono il plasma raccolto dai Servizi Trasfusionali del proprio territorio all’azienda autorizzata alla trasformazione industriale del plasma per la produzione di medicinali plasmaderivati. Il contratto con le aziende, che operano come fornitori di servizio, è considerato una modalità di “lavorazione per conto terzi” e si configura come convenzione per la produzione di tali medicinali.

Perché non effettuate i test sierologici sul sangue dei donatori?

Quando si propone un esame a un paziente o a un donatore bisogna conoscerne la finalità ed avere contezza delle eventuali conseguenze. Se proponiamo la rilevazione degli anticorpi per uno screening epidemiologico d’incidenza della malattia, questa non avrebbe certo una finalità legata all’idoneità della donazione. Inoltre, con riferimento specifico alla plasmaderivazione, ancora non siamo in grado di utilizzare un test che non sia sperimentale e che risulti, quindi, attendibile. Se peraltro i donatori asintomatici evidenziassero la presenza di anticorpi, essi andrebbero sottoposti tampone. Ribadiamo quindi e prima di tutto ricordiamo che non ci sono evidenze scientifiche relative alla trasmissione del coronavirus attraverso le trasfusioni di sangue. Inoltre, i donatori sono sottoposti triage telefonico quando contattano la propria Avis o la propria Unità di raccolta per prenotare la donazione. Tale triage viene ripetuto al momento in cui si presentano al Centro di raccolta per donare. Il donatore è tenuto a contattare la propria Avis o la struttura dove ha donato se sviluppa sintomi riconducibili al virus nei giorni successivi alla donazione.

Ricordiamo, inoltre, che le misure per la prevenzione della diffusione del coronavirus prevedono tre casi in cui bisogna aspettare 14 giorni prima di poter donare:

  1. Se siamo entrati in contatto con soggetti risultati positivi al tampone;
  2. Se abbiamo contratto il virus, siamo guariti e/o abbiamo completato l’eventuale terapia farmacologica;
  3. Quando rientriamo da un soggiorno nella Repubblica Popolare Cinese.

Come riportato sul sito del Ministero della Salute (data ultima verifica: 3 maggio 2020), allo stato attuale il Comitato Tecnico Scientifico (CTS) ritiene che l’approccio diagnostico standard rimane quello basato sulla ricerca dell’RNA nel tampone rino-faringeo. Inoltre, si conferma che non esiste alcun test basato sull’identificazione di anticorpi (sia di tipo IgM che IgG) diretti verso SARS-CoV-2 validato per la diagnosi rapida di contagio virale o di COVID-19.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità sta attualmente valutando circa 200 nuovi test rapidi basati su differenti approcci e che sono stati portati alla sua attenzione; i risultati relativi a quest’attività screening saranno disponibili nelle prossime settimane. Sempre sul sito del Ministero della Sanità si precisa che l’indicazione ad eseguire il tampone è posta dal medico in soggetti sintomatici per infezione respiratoria acuta e che soddisfino i criteri indicati nella circolare del Ministero della Salute del 9 marzo 2020 e secondo le priorità identificate dalla circolare del 3 aprile 2020.

Tra i criteri rientrano: il contatto con un caso probabile o confermato di COVID-19, la provenienza da aree con trasmissione locale, il ricovero in ospedale e l’assenza di un’altra causa che spieghi pienamente il quadro clinico. Per quanto attiene alle priorità nell’esecuzione dei tamponi bisogna considerare le persone che presentano sintomi respiratori e febbre o sintomi lievi (“paucisintomatici”), i contatti a rischio familiari e/o residenziali sintomatici di un caso confermato di COVID-19, gli operatori sanitari, i pazienti fragili e quelli ospedalizzati.

 

 

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