Fino a che punto è lecito sacrificare la qualità della vita dei residenti in nome della crescita turistica?

LAGO DI GARDA - Riceviamo e pubblichiamo queste considerazioni di un lettore di una paese del Garda bresciano. Si parla di sviluppo, turismo, cemento, qualità della vita e visione del futuro.

«Il turismo fiorisce e prospera quando incontra condizioni favorevoli che non dipendono esclusivamente dalla capacità del singolo operatore ma dalle condizioni del tessuto economico, socio-culturale e ambientale. Solo questa sensibilità consente ad una realtà di diventare importante. Nel nostro territorio straordinariamente privilegiato da un punto di vista ambientale, assistiamo alla perdita di “qualità turistica”, alla perdita di capacità di attrazione che in certi casi ha definitivamente compromesso il futuro di un territorio.

Tutto ciò non è stato un incidente di percorso. Le responsabilità di chi ha “scritto il menù turistico” fino ad oggi sono evidenti sottoscritte con nomi e cognomi, sigle o simboli di partito. Costoro hanno consegnato le chiavi di casa nostra agli uomini d’affari, confondendo la gestione pubblica con convinzioni personali (a volte non prive di intenzioni maligne). La loro ideologia predica un primato del mercato su ogni altro aspetto della società che assume i connotati del servilismo nei confronti della casta della speculazione, sfigurando il paesaggio, inquinando l’ambiente e alterando per sempre il rapporto tra abitanti e territorio. A tali strategie non è mancato l’appoggio di professionisti che considerano il potere politico come qualcosa al quale inchinarsi e attuano forme vergognose di subordinazione e sottomissione. D’altro canto, non si sono sentite le voci critiche degli sparuti rappresentanti del comparto turistico rimasti ancora operanti in paese, arrovellati al proprio interno in contrasti finalizzati non tanto allo sviluppo del settore, quanto all’acquisizione di beni e interessi legati a propri tornaconti personali. Oggi sappiamo e possiamo prevedere con certezza quasi assoluta le dinamiche future e le tendenze di questo settore economico. Tuttavia continua a persistere quel traballante pilastro culturale fondato dalle politiche del secolo scorso.

Ad aggravare la situazione concorreranno i nuovi progetti dei supermercati che verranno realizzati col consenso dei “difensori” del commercio e del turismo. Ci faranno rivivere uno scorcio del passato che, purtroppo, conosciamo già molto bene. Spariranno altri piccoli imprenditori e, quindi, anche le aspirazioni delle nuove generazioni che porrebbero voler mettersi in gioco. La liquidità della stragrande maggioranza degli ospiti sul nostro territorio passa dai loro portafogli alle casse dei supermercati e non si ferma nel circuito economico del paese.

A noi residenti rimane il caos del traffico sulle strade, i prezzi maggiorati delle materie prime studiati per le realtà “turistiche “e dei servizi e le briciole lasciate alle poche realtà commerciali che resisteranno.

Ripetere come dei pappagalli i soliti slogan in difesa del turismo e del commercio, è una pratica assai diffusa nel costume politico della nostra comunità. Alla prova dei fatti, questi discorsi si rivelano vuoti, in costante rincorsa delle mode turistiche e commerciali del momento, delle concezioni artificiali e standardizzate di uno sviluppo forzato dall’alto. Una sorta di guinzaglio ideologico, per alcuni più corto per altri leggermente più lungo, sembra associare tutti al primato del mercato su ogni altro aspetto della società. Questioni cruciali come la cura dell’ambiente, il rispetto dei diritti dei residenti ad avere una qualità della vita decente, la conservazione dei beni culturali o naturali sono derubricate, come chiacchiere astratte, frutto della mente di chi scambia i sogni con la realtà che impedirebbero l’imprenditorialità.

Al posto di efficaci collaborazioni nell’ambito di una identità territoriale collettiva (in cui il parco costituisce il simbolo di un’appartenenza condivisa) prevale da sempre l’indifferenza per i valori comuni e una sterile affermazione dei diversi localismi. Invece di un’aggregazione che porterebbe ad organizzarsi e collaborare per competere compattamente sulla scena turistica contemporanea, la frammentazione e i localismi portano inesorabilmente a concentrare le politiche pubbliche su piccoli progetti locali, estranei a prospettive di reale crescita diffusa. Tali espressioni di un mondo infantile che poggia su conoscenze generiche e imprecise, si mostrano inesorabilmente prive di capacità di scegliere un cambiamento che non sia circoscritto al proprio orticello.

Ho sentito parecchie voci di “popolo” sostenere che la politica è l’espressione fedele dei cittadini. Non si può non rilevare, a tale proposito, come l’insipienza con cui i mq che ieri sono stati elargiti alla speculazione edilizia ed oggi ai supermercati, non appartenga ai residenti in quanto cittadini ma piuttosto al ceto politico-amministrativo che li governa. Credo che questo scarto non costituisca una differenza da poco ma segni un’essenziale divisione tra popolazione e ceto politico. Si manifesta altresì nel paradossale esempio dell’onesto residente che vorrebbe aprire una finestra o rendere abitabile un sottotetto, e, invece, si scontra con la fine della politica e l’inizio del dominio del regolamento comunale che il capo ufficio tecnico deve tassativamente far rispettare. Se la legge è uguale per tutti, la medesima attenzione riservata ai navigati progettisti del sistema politico burocratico-amministrativo e ai servitori delle lobby degli speculatori andrebbe prestata anche e soprattutto alle esigenze abitative dei residenti.

La crescente consapevolezza dei cambiamenti climatici e i conseguenti rischi, la pandemia, frutto di una manipolazione forzata della natura e della perdita delle biodiversità, ci pone di fronte a un mondo che ha largamente riformato la nostra vita interiore, e presenta problemi nuovi, obbligandoci a una revisione radicale di tutto il nostro pensiero.

Smettiamo di proporre nuovi arredi della piazza ed affrontiamo il degrado e l’abbandono che gran parte del territorio soffre e che va arrestato, agevolando forme di gestione del suolo che mirano alla vitalità produttiva e alla relativa conservazione.

Favoriamo il ritorno ad una agricoltura in piccola scala e di quelle identità professionali snobbate (dai politici di ieri e di oggi) e ritenute inutili, poco produttive. In un paesaggio fragile come il nostro, costruito artificialmente dall’uomo, se le istituzioni intervenissero con una visione strategica di lungo respiro distribuirebbero i benefici a tutti, dal turismo alla riduzione del dissesto idrogeologico, al contenimento dell’erosione.

Se non invertiamo la rotta e puntiamo a riprenderci il nostro paese trasformato in merce dalla cultura dominante, rimarremo schiavi della dipendenza da un modo di pensare e di agire anacronistico, incapace di raccogliere le nuove sfide della contemporaneità. Questo, forse, lo avvertiamo tutti anche se rimaniamo ancora spaesati e confusi».

Lettera firmata

 

 

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