Hemingway sul Garda e il suo pensiero su d’Annunzio

Una lettera ricorda quella volta che Hernest Hemingway sbarcò sul lago di Garda. Ma, soprattutto, che intende fare chiarezza sull'opinione che lo scrittore americano ebbe sul Vate.

Riportiamo la lettera del movimento promotore della campagna Nunca M.A.S. (Memoria accanto alla Storia):

«Il 4 ottobre 1948 Hernest Hemingway, dopo due notti a Bergamo una delle quali trascorsa all’opera per la celebrazione del centenario della nascita di Donizzetti, “sbarcava” estemporaneamente sul Garda.

Tutto il viaggio di BigPapa in Italia in effetti avvenne all’insegna dell’estemporaneità: l’originaria destinazione del viaggio avrebbe dovuto essere la Provenza ma la nostalgia dello scrittore per il paese dove aveva combattuto ventenne gli tirò un brutto scherzo.

Di questo secondo viaggio ne parla in maniera abbastanza diffusa un articolo di approfondimento comparso sul Giornale di  Brescia del 19 agosto 2022, sezione cultura, relativo al centenario della “prima visita di Ernest Hemingway nel Bresciano”. Ciò che è particolarmente rilevante dell’articolo è il sottostante focus,  nella parte che dà conto della considerazione dello scrittore americano per il Vate, che per il tono adottato nel far ciò.

Il tentativo di neutralizzare l’esito dell’incontro/scontro fra due delle intelligenze letterarie più rilevanti e politicamente divisive della prima metà del ventesimo secolo appare a nostro avviso destinato al fallimento, sebbene del tutto in linea con la politica di neutralizzazione della figura di D’Annunzio perseguita in questi anni dal Vittoriale.

Se nella percezione del lettore generalista avventurismo (armato) ed una certa torsione machista (e tossica) del concetto nietzschiano del superuomo sono gli elementi che accomunano i due autori, a contrapporli è invece la percezione di appartenenza a schieramenti politici inconciliabili.

Grande è stata quindi la sorpresa, di cui siamo debitori all’articolo, nell’apprendere della fase “dannunziana” di Hemingway. Sfruttando l’occasione offerta per approfondire il tema dell’ “ammirazione” dell’autore americano per il Vate abbiamo appreso del lungo elenco di personalità che negli anni fra il 1919 ed il 1923 si attendevano da d’Annunzio ciò che lo stesso Hemingway si attendeva: “Mussolini è il più grand e bluff d’Europa… può darsi che duri quindici anni come può darsi che venga rovesciato la prossima primavera da Gabriele d’Annunzio che lo odia… Sorgerà una nuova opposizione e sarà guidata da quel fanfarone vecchio e calvo, forse un po’ matto, ma profondamente sincero e divinamente coraggioso che è Gabriele d’annunzio “

E’ fatto ormai risaputo che d’annunzio scelse di non guidare proprio un bel niente contro Mussolini e il fascismo, preferendo piuttosto trascorrere i propri ultimi anni della propria esistenza a sacrificarsi nell’erezione a beneficio dei posteri dell’esoscheletro-cattedrale del luogo ove si sarebbe potuto officiare il culto post mortem della sua personalità: il Vittoriale.

E’ questo il Vittoriale che visita Hemingway nel 1948 durante la tappa gardesana di cui racconta l’articolo del Giornale di Brescia, cioè proprio nel periodo in cui s’avvia alla scrittura del romanzo Di là dal fiume e tra gli alberi (pubblicazione 1950)  in cui d’Annunzio viene così definito dal protagonista:

“…il grande scrittore e poeta, l’eroe nazionale, forgiatore della dialettica fascista, macabro egotista, aviatore, membro d’equipaggio trasportato come Comandante sulla prima delle motosiluranti d’attacco, tenente colonnello di fanteria senza cognizione alcuna su come comandare una compagnia o anche solo un plotone, il grande e delizioso autore del Notturno che noi tutti rispettiamo, il coglione”.

Qual altro giudizio aspettarsi sul Vate da parte di chi a vent’anni era stato ferito sul Piave mentre da volontario supportava la campagna dell’Armata Italiana per trovarsi invece a quaranta ad assistere agli sconvolgimenti prodotti dai bombardamenti dell’ aviazione fascista che lo stesso Vate invece pubblicamente lodava?

Non è dunque un caso che il d’Annunzio del romanzo arringhi i soldati che lo ascoltano gridando loro “morire non basta“, mettendo in luce la genealogia del sinistro culto della morte (Viva la muerte!)  che dalle trincee della prima guerra era tracimato dilagando poi per l’Europa via Fiume traghettato dai fascismi, del cui presunto slancio vitalistico iniziale rimanevano ormai sole le fetide rovine.

Limitarsi a riferire il punto di vista di Hemingway su d’Annunzio come “ammirazione” rischia dunque di essere fuorviante. Nel 1921 l’americano componeva la seguente poesia, intitolata per l’appunto D’Annunzio:

Capito il figlio di puttana?/ Mezzo milione di mangia spaghetti morti/ E lui se ne fotte” (Traduzione di Andrea Cortellessa per la “riveduta” Antologia dei poeti italiani nella prima guerra mondiale”)

Crediamo valga la pena ricordarlo, ora che nei campi d’ Europa son ricomparse le trincee e che anche i neonazisti vengono riabilitati nel dibattito pubblico grazie al loro valore militare. Ne va del destino d’Europa».

Nunca M.A.S. – Memoria Accanto alla Storia

 

 

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