Nuovo percorso espositivo alla galleria «Segantini»
ARCO - Alla Galleria Civica «Giovanni Segantini» a Palazzo dei Panni un nuovo percorso curato da Niccolò d’Agati, con tutte le opere di proprietà e arricchito con prestiti di prestigiose istituzioni e collezionisti privati.
La figura solitaria di un anziano sacerdote che sale le scale, una separazione netta fra un’area inondata di luce e una parte in ombra, il tentativo di cogliere il momento in cui la luce del giorno e l’ombra della notte si avvicendano: tutti questi elementi si compongono magistralmente nel quadro «Scalinata con prete», recentemente acquisito dal Comune di Arco (ne avevamo scritto qui) ed esposto nelle sale della galleria Civica «Giovanni Segantini» a Palazzo dei Panni. Un nuovo percorso curato da Niccolò d’Agati, con tutte le opere di proprietà e arricchito con prestiti di prestigiose istituzioni e collezionisti privati, è visitabile fino al 2 ottobre.
APERTURA
- da martedì a domenica dalle 10 alle 18, lunedì chiuso
- Lunedì 15 agosto apertura straordinaria (dalle 10 alle 18)
SERVIZI
- Bookshop in galleria (aperto contestualmente al percorso espositivo)
- Attività didattica per le scuole e visite guidate per gruppi su prenotazione (Ufficio attività culturali del Comune di Arco, telefono 0464 583656).
L’attività della galleria civica «Giovanni Segantini» nel 2022
Per la galleria civica «Giovanni Segantini», il tema fondamentale indagato nel corso 2022 sarà senza dubbio quello del nucleo di opere dedicate alla chiesa di Veduggio e alla figura solitaria di un sacerdote dall’incedere curvo che si accinge a entrare in chiesa. L’opera di riferimento per l’intero nucleo è il grande quadro «A messa», prima custodito al Museo Segantini di Saint Moritz, ma un pezzo interessante è certamente il dipinto recentemente acquisito dal Comune di Arco, oltre all’opera «Studio di architettura con figura», proveniente da una collezione privata.
L’opera acquisita dal Comune di Arco nel dicembre 2021 era stata proposta finora con il titolo descrittivo «Scalinata con prete«», motivo per il quale la mostra ha avuto il titolo attuale, e solo le recentissime ricerche del curatore incaricato di realizzare una mostra con focus sulla recente acquisizione, ha permesso di riscoprirne il titolo originale: «A messa ultima».
Il percorso espositivo
La sala centrale del percorso espositivo, a cui seguirà un quaderno dedicato proprio all’approfondimento sul dipinto recentemente entrato in collezione, è dedicata proprio al focus principale e vi si trovano alcuni testi che spiegano sia lo sviluppo del nucleo di opere dedicate a questo tema, sia la nuova attribuzione del titolo. Nella sala di apertura troviamo un focus sulle nature morte e i dipinti floreali, con lo splendido pannello decorativo tondo dipinto da Segantini per un soffitto decorato con una elaborata boiserie e per la prima volta ospitato nelle sale arcensi. Nella sala conclusiva, invece, il focus è dedicato al paesaggio, con la presenza, anch’esso per la prima volta ad Arco dello splendido dipinto «Naviglio con la neve» e con due inediti giovanili di proprietà dell’Archivio Pompeo Mariani di Milano, relativamente ai quali è stato recentemente riscoperto il carteggio che ne conferma l’autenticità.
Completa il percorso una sala dedicata a documenti di archivio (Archivio storico comunale «F. Caproni») che ricordano l’attenzione dedicata a Segantini e alla sua opera dalla città di Arco, con eventi e iniziative celebrative, e la sala video con la riduzione del documentario «Segantini. Ritorno alla natura» a cura di Roberta Bonazza, Francesco Fei e Federica Masin (Apnea film), dove il maestro divisionista è interpretato da Filippo Timi.
Segantini.map e Segantini.doc
All’ingresso della galleria civica sono installati i grandi totem informativi con i progetti Segantini.map e Segantini.doc, curati da Alessandra Tiddia per Comune di Arco, Museo Alto Garda (Mag) in convenzione con il Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto (Mart). Si tratta di due percorsi che invitano a scoprire i musei e le istituzioni che conservano ed espongono le opere di Giovanni Segantini, e che propongono alcuni interessanti e preziosi documenti relativi all’opera del pittore e alla sua celebrazione negli anni immediatamente successivi alla sua morte, come accade per il volume antologico di Franz Servaes, una copia del quale è custodita al Fondo Antico della biblioteca civica «Bruno Emmert» di Arco.
I FOCUS
(testi di Niccolò D’Agati)
«Dipingere in chiaro»: da Non assolta ad A messa ultima. «Ma il vero quadro moderno, non dovrebbe scaturire esclusivamente dal cervello, dovrebbe essere sorpreso nel vero, e dal tuo occhio d’artista completato» (da una lettera del 1883 di Vittore Grubicy a Segantini).
La vicenda di A Messa prima e della variante, di poco successiva, A Messa ultima sintetizza un passaggio fondamentale nel corso della pittura segantiniana.
Come scrive Primo Levi, nel suo studio del 1899, il dipinto inaugura quella “ricerca di pittura chiara” che costituisce la prima e più importante svolta nella ricerca di Segantini attorno al colore e alla luce. La luce studiata sul vero, dietro lo stimolo degli esempi della pittura olandese di Anton Mauve, rischiara la tavolozza del pittore, semplifica gli accordi luministici e cromatici e conduce alla conquista di una pittura fondata, come scrive Grubicy a Segantini, sulla verità e l’unità luminosa dell’ambiente «che è la base della pittura moderna».
Il dipinto, presentato nell’aprile del 1885 alla XLIV esposizione della Promotrice di Torino, era stato concepito secondo uno sviluppo narrativo differente rispetto all’attuale e intitolato Non assolta. Come documenta una fotografia proveniente dal Fondo Grubicy, in luogo del prete vi era una figura di donna, gravida, che scendeva le scale della chiesa – riconoscibile nella Parrocchia di San Martino di Veduggio – alla sommità delle quali si trovavano tre frati che giudicavano malevolmente la giovane madre. La scelta di questo soggetto per l’opera, che introduceva nella scena di paesaggio una componente narrativa di impronta aneddotica, potrebbe trovare una giustificazione dalla suggestione di un dipinto celeberrimo e di grande successo del pittore Francesco Paolo Michetti, La figlia di Jorio, la cui prima versione fu esposta a Milano nel 1881. La tela di Segantini esposta a Torino – oggetto di una gustosa caricatura apparsa sulla rivista La Luna – non doveva soddisfare appieno l’artista che, nel breve tempo di un mese, tra il giugno e il luglio del 1885 a seguito della chiusura della mostra torinese, mutò radicalmente la composizione ridipingendo alcune parti del dipinto – eliminando i frati e la figura femminile – e innestando sulla scalinata la figura solitaria del prete.
Fu in questa nuova strutturazione che nel luglio del 1885 il dipinto fu esposto col titolo di A messa prima alla personale di Segantini presso la Permanente di Milano. Abbandonando il tema aneddotico, Segantini affidava ora il contenuto dell’opera al valore evocativo della luce mattutina e dei carichi impasti cromatici: isolata la figura del prete astratto nella sua meditazione e in contrappunto cromatico con le tinte cariche della scalinata e l’intenso azzurro del cielo, A Messa prima introduce il tema del rapporto uomo-fede nel senso di un più ampio e panico senso di connessione tra l’uomo e la natura.
A Messa ultima
A Messa ultima è una variazione sul tema di A Messa prima. Rispetto alla grande tela del 1885, Segantini riprendendone il soggetto – secondo una prassi ampiamente diffusa nella sua produzione – isola la figura del prete e muta l’ambiente luminoso: non più la prima messa del mattino, ma l’ultima vespertina. Il tema di A messa ultima è stato affrontato dal pittore sino al 1892 – quando scrive a Grubicy di aver da poco ultimato un pastello con questo soggetto – e la piccola tela è riferibile al 1886-1887. Se nella composizione del 1885 il rapporto tra la figura e l’architettura si risolve a favore di una maggiore centralità data al rapporto tra la scalinata e il cielo, nella suggestiva idea del prete che ascende verso lo squarcio aperto dell’azzurro, nella rielaborazione in scala minore il ritmo compositivo si fa più serrato con l’assunzione di un punto di vista più angolato, mentre il gioco luministico si risolve in un contrappunto evocativo, che sottolinea il movimento ascensionale caricandolo di una valenza simbolica, tra l’ombra del primo piano della scalinata e la luce rosata del tramonto che colora il cielo e viene riflessa dalla facciata della Chiesa. Mentre in A messa prima il trattamento pittorico è affidato alla classica pittura a impasto, A Messa ultima presenta una stesura pittorica più articolata percorsa com’è da minute pennellate e tocchi rosati, aranciati e azzurri che si intessono sulla superficie del dipinto dando vita a una intensa vibrazione cromatica che riflette l’attenzione del pittore per la resa degli effetti luministici e cromatici proprio nel momento in cui s’avvia con decisione la sperimentazione attorno al colore diviso.
Due inediti giovanili: Caglio, dintorni di Erba e Paesaggio montano, 1877-78.
I due dipinti, recentemente rinvenuti, sono un’importante testimonianza degli avvii della pittura segantiniana. Provenienti dalla collezione personale del pittore Pompeo Mariani (1857-1927), al quale Segantini fece omaggio, tra gli altri, del dipinto Il Prode del 1880, furono donati dal pittore arcense a Mariani attorno al 1885. Il reciproco scambio di piccole opere era una prassi frequente fra gli artisti, e quello intercorso tra i due pittori è documentato da una pagina dell’Inventario autografo di Mariani in cui troviamo segnato l’avvenuto cambio di due opere segantiniane a fronte di un bozzettino e di un bozzettone donati dal pittore monzese.
Le due opere sono riconducibili alla fine degli anni Settanta: come racconta Giulio Bertoni nelle sue memorie, in quegli anni, Segantini si recava spesso in Brianza ospite del fratello di Giulio, Giacomo. Lì, riferisce Giulio, «camminavamo tutto il dì, un giorno da Canzo a Barzanò, altro da Lecco a Como, poi fino a Lugano in ferrovia, gita sul lago e salita al S. Salvatore» e da questa frequentazione «incominciò il suo entusiasmo per l’incantevole panorama della Brianza che egli vedeva per la prima volta e per tutto il viaggio non cessava di ammirare la bellezza dei luoghi che si svolgevano ad ogni passo».
I due piccoli dipinti, estremamente corsivi nella resa pittorica, testimoniano l’attenzione del giovanissimo artista per la restituzioni degli effetti luministici e cromatici annotati sul vero e sbrigativamente riassunti secondo una tecnica, che si affida al valore costruttivo del colore, che rientra perfettamente nel solco della pittura naturalista lombarda degli anni Settanta. In Paesaggio montano la resa della montagna rocciosa è tutta affidata ad un ductus pittorico sintetico che procede con veloci e corpose pennellate che sintetizzano i rapporti di luce e ombra nella giustapposizione dei colori. Più fusa e sfumata, invece, è la pennellata in Caglio, dintorni di Erba, dove l’attenzione è più orientata alla resa di morbidi effetti chiaroscurali, più intonati all’atmosfera del lago, con alcuni subitanei rialzi cromatici, come si nota nelle lumeggiature gialle sull’edicoletta votiva o nel rosso vivo della fiammella che si staglia sull’ombra della finestrella.
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