Il segreto dei cento vetrini

TREMOSINE - A Tremosine una storia che ha dell'incredibile, nata dal ritrovamento di centinaia di ritratti scattati tra gli anni ’20 e ’60. Spettacolo teatrale itinerante ispirato al lavoro di ricerca di Clara Pilotti e Laura Morandi.

Una scatola di latta, ritrovata casualmente in discarica, contenente centinaia di vecchi vetrini fotografici che ritraggono abitanti di Tremosine nella prima metà del Novecento. Chi ha scattato le fotografie? Perché? E infine: chi sono le persone ritratte? A quel misterioso e singolarissimo ritrovamento, seguì nel 2013 e negli anni successivi una ricerca condotta casa per casa da Clara Pilotti (scomparsa nel 2019) e Laura Morandi, che riuscirono ad attribuire a molti di quei volti un nome e una storia.

Alla fine venne restituita un’identità a cento dei quasi trecento ritratti, scattati tra gli anni Venti e gli anni Sessanta del secolo scorso, tutti impressi su vetrini che fino ad alcune decine di anni fa erano il «negativo» su cui sviluppare le immagini.

Una sorta di Antologia di Spoon River tremosinese: da Ambra Elisa, detta la «Pedrüsa», che allevava figli e curava i campi aspettando il marito impegnato nella costruzione della Gardesana, a Varina Maria, detta «Feralèta» per la sua chioderia in Val di Brasa. Le foto e le storie delle persone ritratte divennero nel 2019 una mostra e un libro («Il ‘900 a Tremosine. Volti e storie di vita») ed ora riprendono ancora vita grazie ad un doppio spettacolo della Compagnia teatrale Chronos3, «Il Segreto dei cento vetrini» (drammaturgia Manuel Renga, regia Manuel Renga e Vittorio Borsari)

Verranno eseguite due rappresentazioni: stasera, sabato 16, alle 21 al parco di Pieve, e venerdì 22 nella frazione di Villa. Non saranno due repliche, ma lo spettacolo cambierà in relazione agli spazi delle due location. L’ingresso è gratuito. L’invito è quello di portarsi un cuscino o una coperta, per assistere più comodamente alla rappresentazione.

 

L’incredibile storia dei 100 vetrini

Una scatola di latta, ritrovata casualmente in discarica, colma di vetrini fotografici. Da dove viene? Chi ha scattato le fotografie? Perché? E infine: chi sono le persone ritratte?

Ha origine così, da un ritrovamento misterioso avvenuto nel 2013, una sorprendente ricerca che ha aperto una finestra sulla comunità tremosinese dal periodo che va dalla prima metà del Novecento al decennio successivo alla seconda guerra mondiale, spalancata su volti e sguardi che raccontano storie e trame di vita.

I vetrini sui cui sono “impressi” i ritratti.

 

È una sorta di Antologia di Spoon River altogardesana quella tracciata da Clara Pilotti (scomparsa nel 2019), insegnante in pensione che ha indagato a fondo la storia locale con le sue ricerche sulla grande emigrazione negli Stati Uniti dei primi del Novecento.

«Quando, quattro anni fa, mi sono stati consegnati quei vetrini – ci disse nel 2019 in occasione dell’allestimento della mostra – mi sono sentita subito coinvolta».

Le fotografie non hanno voce e la maggior parte delle persone ritratte non può più parlare. Che fare, dunque, per dare un nome a quei visi? «Cerco aiuto nelle case e i tremosinesi mi accolgono», spiegò la prof.ssa Pilotti, che coadiuvata da Laura Morandi si lanciò in un’impresa impossibile: recuperare la coordinate anagrafiche dei ritratti. «Ho trascorso tre anni nelle case dei tremosinesi – disse – e mentre le foto passavano di mano in mano raccoglievo indizi e segnalazioni. Questo sembra il fratello di Tizio, forse si tratta di Caio….».

Alla fine viene restituita un’identità a cento dei quasi trecento ritratti, scattati tra gli anni Venti e gli anni Sessanta del secolo scorso, tutti impressi su vetrini che fino ad alcune decine di anni fa erano il «negativo» su cui sviluppare le immagini.

La locandina della mostra allestita nel 2019.

 

Cento tremosinesi che sono poi diventati i protagonisti della mostra «Il ‘900 a Tremosine. Volti e storie di vita».

Su ogni pannello, oltre la fotografia, sono stati riportati il soprannome (quando possibile), dati anagrafici, attività lavorativa, abitudini, curiosità, aneddoti. Ed ecco che la comunità tremosinese del ‘900 riprende vita: da Elisa Ambra, detta la Pedrüsa, che allevava i figli e curava i campi nell’attesa che il marito, impegnato nella costruzione della Gardesana, tornasse a casa il sabato, a Maria Varina, la Feralèta, soprannome dovuto al fatto che la famiglia del marito aveva avuto una chioderia in Val di Brasa.

La mostra, nella volontà di chi l’ha curata, appartiene alla comunità di Tremosine. Il progetto è stato condiviso dai tremosinesi, nelle fasi di ricostruzione delle identità, progettazione, realizzazione e persino di finanziamento.

L’allestimento nella sala ristorante del caseificio Alpe del Garda.

 

In occasione della mostra allestita nel 2019 c’è stato chi ha pianto davanti al ritratto di suo padre o di sua madre, chi ha visto per la prima volta una fotografia del nonno, chi ha riconosciuto la maestra delle elementari.

E c’è anche chi, con stupore, ha rivisto sé stesso ritratto in età giovanile. La mostra è stata una sorta di percorso affettivo.

Anche Laura Morandi, che ha affiancato Clara Pilotti nella ricerca e nel coordinamento, ha ritrovato un suo caro: «Verso la fine di questo lavoro, mentre Clara e io sistemavamo i testi, per caso abbiamo riconosciuto il vetrino con la foto del mio nonno paterno, Battista Morandi, la cui storia è stata inserita fra le cento. Ringrazio questa mostra perché posso ricordarlo, pur non avendolo mai conosciuto».

Le immagini, a loro modo, raccontano una comunità e un’epoca e fanno riaffiorare storie che raccontano di intelligenza contadina, tenacia, inventiva, attaccamento alle terra. Come recita il sottotitolo della mostra, si tratta di «uno spazio culturale affettivo della comunità per la comunità».

A corredo della mostra è stato pubblicato anche un bel catalogo con le immagini dei tremosinesi e le loro storie ricostruite.

Sul primo pannello della mostra una foto della curatrice, la prof.ssa Clara Pilotti.

 

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