Scavi aperti al Lavagnone, diventa archeologo per un giorno

DESENZANO DEL GARDA - Torna "Scavi aperti al Lavagnone". Sarà possibile approfittare di visite guidate agli scavi archeologici di questo sito palafitticolo. Ecco la sua storia.

Anche quest’anno, in occasione della campagna di scavo al Lavagnone condotta dall’Università degli Studi di Milano, sarà possibile approfittare di visite guidate agli scavi archeologici a cura della prof.ssa Marta Rapi, direttore dello scavo.

L’iniziativa “Scavi aperti al Lavagnone” è in programma lunedì 3 luglio e giovedì 6 luglio, con ritrovo alle 17.20 presso la trattoria “La Rossa”, in località Montelungo, sulla strada per San Pietro – Desenzano.

La partecipazione è gratuita, ma i posti sono limitati. E’ dunque necessaria la prenotazione, che può essere effettuata al seguente link https://desenzano.movingminds.net/desenzano.asp.

Per altre info rivolgersi all’ufficio cultura del Comune (tel. 030 9994537).

 

Il Lavagnone si raggiunge facilmente dal casello dell’autostrada di Desenzano e dal centro seguendo le indicazioni per Centenaro. E’ possibile raggiungere il Lavagnone anche in bicicletta seguendo la ciclabile Montichiari – Sirmione con una deviazione verso Centenaro.

Il sito è indicato da cartelli segnaletici; in prossimità della palafitta, dal 2019, sono stati collocati la targa UNESCO e un punto informativo con pannelli relativi alla storia del Lavagnone. Qui è possibile anche scaricare tramite QR code ulteriori approfondimenti sul sito UNESCO “Siti palafitticoli preistorici dell’arco alpino”.

 

Il sito del Lavagnone

Il bacino del Lavagnone è una delle piccole conche lacustri di origine glaciale caratteristiche del paesaggio a Sud del Lago di Garda. Siamo a circa 3,4 km a Sud della attuale riva del lago, al confine tra i comuni di Desenzano e di Lonato.

Il contesto restituisce tracce di frequentazione umana di età mesolitica e neolitica, ma le evidenze di una stabile occupazione sono dell’età del Bronzo, dalla fine del III millennio a.C. Si riferiscono alla Cultura di Polada e tardopoladiana nel Bronzo Antico (2200- 1600 a.C.) e alla Cultura delle Palafitte e Terramare nel Bronzo Medio e Recente (1600-1200 a.C.).

È ancora evidente la scarpata morfologica dell’antico bacino inframorenico, che si estende per 580 m in direzione Nord Nord- Est /Sud Sud-Ovest e per 450 m in direzione Est-Ovest, ma oggigiorno dell’antico lago non sopravvive che una piccola zona paludosa invasa da arbusti e piante ad alto fusto.

Il bacino si è progressivamente trasformato in torbiera già in età preistorica e ai primi del Novecento è stato bonificato e messo a coltura. Alle prime scoperte, tra il 1880 e il 1886, dovute ai lavori di cava della torba, sono seguite quelle legate alle attività agricole e la conseguente attenzione degli studiosi; passerà però molto tempo prima dell’avvio di vere e proprie ricerche sistematiche.

Nel 1971 il Museo Nazionale Preistorico Etnografico L. Pigorini inaugurava una fruttuosa stagione di scavi mirati ad approfondire la conoscenza dei contesti palafitticoli e della Cultura di Polada: Renato Perini, tra il 1974 e il 1979, individuava una lunga sequenza di orizzonti archeologici, i più antichi dei quali correlati a strutture palafitticole. Nel 1989 il testimone passava all’Università degli Studi di Milano, che tuttora prosegue nelle ricerche sotto la direzione di Raffaele de Marinis e ora di Marta Rapi. Gli scavi riguardano diversi punti del bacino (dalla sponda nord-orientale al limite della palude).

Viene così messa a fuoco una storia insediativa che nel tempo si realizza attraverso l’occupazione a scopo residenziale di ambiti differentemente caratterizzati e l’impiego di svariate tipologie strutturali: case rialzate su piattaforme poggianti su lunghi pali isolati o su pali più brevi che scaricano la loro portata su plinti, oppure case non sopraelevate costruite su strutture di bonifica (cassonature di legno e riempimenti in pietrame) o ancora case poggianti direttamente al suolo con semplici piani in battuto.

Museo Rambotti: plastico del sito palafitticolo del Lavagnone.

 

Gli aspetti meglio conservati riguardano l’abitato all’epoca della sua fondazione. All’inizio del Bronzo Antico, quando il livello delle acque del piccolo lago era notevolmente sceso rispetto all’età mesolitica e neolitica, a circa 80 m dall’antica linea di riva venne fondato un villaggio palafitticolo su impalcato aereo in zona periodicamente esondata; verso Est e verso la terra asciutta era delimitato da una palizzata ed era raggiungibile dalla sponda nordorientale percorrendo un sentiero di legno (timber trackway).

La superficie inizialmente occupata dalle abitazioni era superiore ai 6000 m2, forse raggiungeva l’ettaro. La stabilità dell’insediamento si correla al progressivo ampliamento dell’abitato (fino a 3 ettari) e a un incremento demografico lento ma costante, come indicato anche dal modello di sussistenza: l’archeozoologia illustra l’evoluzione dei rapporti tra le principali specie domestiche allevate, dall’iniziale predominio della capra/pecora al costante e regolare aumento del bue e del maiale, conseguente all’accresciuto fabbisogno di carne.

I materiali, che illustrano la vita degli abitanti della palafitta del Lavagnone, sono esposti e conservati presso il Museo Civico Archeologico “G. Rambotti”, dove sono disponibili la ricostruzione dell’interno di una capanna e una sezione di scavo della palafitta del Lavagnone.

Desenzano, Museo Rambotti: l’antica piroga rivenuta nel sito del Lavagnone.

 

L’aratro del Lavagnone

L’aratro del Lavagnone risale al Bronzo Antico ed è uno dei più antichi esemplari al mondo. Esso fu rinvenuto nel 1978 nel corso degli scavi di R. Perini al Lavagnone. Rientra nel tipo Trittolemo, composto di ceppo (A), bure (B), stegola e relativo cuneo per il bloccaggio (C). Il ceppo presenta un foro quadrangolare in cui si inserisce la stegola; la bure si diparte dal ceppo inclinata di circa 45°, con l’estremità sagomata per l’aggancio di una stanga di prolungamento, che tuttavia non è stata rinvenuta.

Nei pressi dell’aratro sono stati recuperati anche una stegola di ricambio e il giogo. L’aratro è in legno di quercia, il giogo in legno di faggio. Già nell’età del Rame, momento di introduzione dell’aratro in Europa, vengono raffigurate scene di aratura sui massi incisi della Valle Camonica; sempre durante l’età del Rame si conoscono arature all’interno di santuari, svolte quindi durante cerimonie come gesto rituale, ad esempio a SaintMartin-de-Corléans (Aosta).

Raffigurazioni più dettagliate di aratro risalgono alla piena età del Ferro (600-400 a.C.), all’interno del repertorio della cosiddetta “Arte delle Situle”.

aratro desenzano
L’aratro preistorico conservato nel museo archeologico di Desenzano.

 

 

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