Parasite è il film dell’anno? La recensione di Camilla Lavazza

SALÒ – Martedì 17 dicembre alle 21.15 per i cineforum al cinema Cristal, a Salò, si proietta «Parasite» del maestro Bong Joon Ho, acclamato come un capolavoro. Il film ha conquistato giuria e stampa al Festival di Cannes. Ecco la recensione di Camilla Lavazza.

Trama: Ki-woo abita in un seminterrato insieme ai genitori Ki-taek e Chung-sook, e alla sorella Ki-jung, vivendo di lavoretti ed espedienti. Quando un amico gli cede il suo posto come insegnante d’inglese per la figlia della ricca famiglia Park, il ragazzo coglie l’opportunità e pian piano riesce a far entrare a servizio i suoi parenti che fingono reciprocamente di non conoscersi. Ma ci saranno conseguenze inaspettate…

 

“Sai qual è il piano che non fallisce mai? Non averne uno”.

Critica: Parasite è un film sulla fiducia, ovvero l’atteggiamento di affidarsi, sulla base di valutazioni personali che ci portano, appunto, ad abbandonare le difese, il sospetto, le resistenze. Ma in base a cosa avvengono queste valutazioni? Nel caso della famiglia Park, apparentemente così ben difesa all’interno della sua magnifica casa, opera di un architetto famoso (si stenta a crederlo ma, in verità, è stata creata sul set dallo scenografo Lee Ha Jun tenendo conto delle angolazioni della macchina da presa), sulla base semplicemente delle raccomandazioni, una catena di raccomandazioni che si rivelerà disastrosa.

Il film è una stupenda scatola rompicapo, in cui ogni particolare è importante e diviene un indizio che si illumina di significato ma mano che la storia procede di colpo di scena in colpo di scena, tra commedia e tragedia.

La scenografia contrappone gli ambienti in cui vivono le due famiglie speculari (entrambe sono composte dai genitori e da due figli, fratello e sorella, seppure di età differenti): oscura e puzzolente (l’odore della miseria) quella dei Kim, luminosa ed asettica quella dei Park, in cui una spettacolare parete a vetrine illuminate incornicia un passaggio che, come un buco nero, inghiotte in alcune scene i personaggi.

I Park sono convinti della loro superiorità e certi del loro diritto di avere il meglio del meglio: sono ricchissimi, quindi i loro figli devono essere in qualche modo geniali, loro stessi si credono molto furbi ed in grado di valutare senza sbagliare le persone al primo sguardo, per questo sono facile prede della fame disperata della famiglia di Ki-woo, che invece sa di non aver nulla da perdere.

La fiducia è autentica tra i membri della famiglia di Ki-woo, che sono solidali gli uni con gli altri, mentre viene elargita con ingenua superficialità dai Park che, al contrario, sotto la patina di gentilezza condiscendente (“Sono gentili perché sono ricchi” dirà ad un certo punto la Sig.ra Kim) sono totalmente incapaci di empatia con le persone al loro servizio o con altri essere umani che non appartengono alla loro cerchia di privilegiati.

Quella “perfezione”, sotto cui si celano aridità e disprezzo, non è qualcosa che si può imitare ma viene assimilata fin dall’infanzia da chi possiede la sicurezza derivante dal denaro e dal potere.

Emblematica, in questo senso, è la pietra ornamentale che viene donata a Ki-woo dall’amico agiato che gli cede il posto di insegnante, un regalo lussuoso, inutile per una famiglia che stenta a trovare mezzi di sussistenza, un oggetto raffinatissimo e fuori luogo nel loro tugurio.

“È Metaforico”, ripete più volte il ragazzo, a volte anche un po’ a sproposito, infatuato del termine il cui uso lo fa sentire intellettuale come lo studente universitario che sogna di diventare, ed il film è disseminato di metafore, partendo dalla cima della collina su cui è situato il quartiere dei ricchi, mentre una lunga e tortuosa scala discendente conduce al quartiere dei poveri, dove la famiglia di piccoli truffatori vive rintanata come scarafaggi addirittura al di sotto del livello stradale, inferiore perfino tra i miserabili.

L’insinuarsi di sconosciuti in un ambiente alto borghese, con conseguenze sconvolgenti, è un tema sempre interessante anche se non inedito, ma in Parasite il fulcro della storia è proprio la fiducia, più che la trasformazione che avviene dallo scontro di ambienti diversi. Anzi, qui ciascuno rimane se stesso (pur nell’imitazione fraudolenta) ed i confini rimangono ben delimitati; più volte il Sig. Park parla di “non superare il limite” riferendosi all’atteggiamento che devono tenere i dipendenti i quali, a loro volta, lasciati soli in casa, la rendono subito simile all’ambiente degradato dal quale provengono, lasciando bottiglie e cibo sparpagliati nel soggiorno.

Di più non si può dire, il regista, con un atteggiamento assai esotico, scrive nel pressbook: “Chino il capo e vi imploro ancora una volta –per favore niente spoiler”.

Parasite è un film con diversi piani che si intersecano, una sottile satira dei tic e della psicologia della classe abbiente, una commedia che si tinge di dramma e violenza, debitrice delle opere di Park Chan Wook e Kim-Ki-Duk (e come non pensare a Bad Guy quando inaspettatamente sentiamo cantare in italiano; nel film di Kim-ki-Duk era Etta Scollo con “I tuoi fiori”, qui il più famoso Gianni Morandi con “In ginocchio da te”) che sfrutta sapientemente i difetti della contemporaneità (il cellulare, onnipresente, che viene usato come una pistola in una scena insieme buffa e tragica) e che riesce ad accrescere continuamente la tensione, rilanciando di scena in scena, grazie ad una sceneggiatura in cui, come in un ingranaggio perfetto, tutti i particolari si incastrano al momento giusto.

Camilla Lavazza

 

Titolo originale: Parasite

Regia BONG JOON HO

Sceneggiatura BONG JOON HO, HAN JIN WON

Interpreti e personaggi

Song Kang-ho: Kim Ki-taek

Lee Sun-kyun: sig. Park

Cho Yeo-jeong: Choi Yeon-kyo

Choi Woo-shik: Kim Ki-woo

Park So-dam: Kim Ki-jung

Lee Jung-eun: Gook Moon-gwang

Park Myeong-hoon: Geun-se

Chang Hyae-jin: Kim Chung-sook

Jung Ziso: Park Da-hye

Jung Hyeon-jun Park Da-song

Park Seo-joon: Min-hyuk

Fotografia Hong Kyung-pyo

Montaggio Yang Jin-mo

Effetti speciali Hong Jeong-ho, Jung Do-ahnPark Kyung-soo

Musiche Jung Jae-il

Scenografia Lee Ha-jun

Costumi Choi Se-yeon

Trucco Kim Seo-jeong, Kwak Tae-yong, Hwang Hyo-kyun

Durata 132 min

 

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