Lockdown invenzione antica, Salò nelle epidemie del ‘300 e ‘700

SALO' - Nel secondo volume della collana «Storia di Salò e dintorni» si fa luce su vicende lontane che hanno sorprendenti richiami con la situazione attuale. Ecco la storia delle pandemie che colpirono il Garda nel 1336 e nel 1796 e delle misure di isolamento adottate allora.

Studiando la storia scopriamo che il lockdown non è un’invenzione dei giorni nostri. Accedeva anche in passato, quando le epidemie spinsero «i poteri pubblici a rendere più stringenti i controlli sulla popolazione, limitandone i movimenti e prescrivendone i comportamenti». Secoli fa come oggi.

Lo racconta il prof. Giuseppe Piotti nel secondo volume della collana «Storia di Salò e dintorni», progetto culturale e scientifico promosso dall’Ateneo cittadino con la compartecipazione del Comune (il primo è disponibile anche in pdf sul sito dell’Ateno, a questo link).

Piotti narra delle pestilenze che flagellarono il Garda bresciano nel 1630, «quando la paura dominava i rapporti umani», oppure nel 1671, quando Salò fu teatro di un processo a presunti untori.

«Nella quasi totale inadeguatezza ed impotenza della scienza medica, incapace di individuare le cause e i meccanismi biologici delle malattie più gravi – scrive Piotti -, la salvezza di individui e comunità era affidata alla prevenzione, realizzabile nelle condizioni del tempo quasi esclusivamente attraverso il controllo dei contatti e dei movimenti sul territorio di persone, animali e cose. Le autorità sanitarie combattono su questo fronte basandosi su alcune intuizioni empiriche come quella del contagio e facendo tesoro di una sperimentata capacità di governo. Trovano mille ostacoli sulla loro strada, sia nelle insufficienze della pubblica amministrazione, sia nelle tenaci e variamente motivate resistenze dei singoli. Le scelte degli uffici, spesso drammatiche, ci appaiono in molti casi severe, talvolta ciniche, in quanto giungono anche a calpestare quelli che oggi chiameremmo inviolabili diritti della persona: il criterio che essi seguono è sempre la salvezza della comunità, la garanzia della sua sopravvivenza di fronte alla minaccia di un nemico invisibile, inafferrabile e capace di aggirare ogni barriera. I registri della Sanità documentano questa impari lotta di pochi coraggiosi a difesa di comunità che spesso non comprendono la loro preoccupazione e non assecondano i loro sforzi».

Si parla di secoli fa, ma sembra si faccia riferimento ai tempi nostri. Piotti racconta dell’istituzione degli Uffici di Sanità, della peste del 1630 a Salò (è del 3 giugno la prima morte di peste registrata in Salò: spira in lazzaretto Caterina, moglie di Giorgio Allegri, giunta da Desenzano), delle conseguenze dei provvedimenti di sanità sull’economia gardesana, del lazzaretto salodiano,  che «nei secoli in cui è stato attivo, ha rappresentato un piccolo universo caratterizzato da una propria popolazione, da relazioni particolari al suo interno e con l’ambiente circostante e da un sistema di regole secondo cui le sue funzioni si svolgevano».

Il lazzaretto di San Rocco, a Salò.

 

Gian Pietro Brogiolo (curatore del volume) e Fabio Velardi affrontano una altro tema che propone rimandi alla situazione odierna: quello della vigilanza degli arrivi dall’estero e della difesa sanitaria su confini salodiani all’inizio del Settecento: «Proteggere i confini, controllandone gli accessi, aveva tre motivazioni: impedire il contrabbando di merci soggette a dazio, impedire l’accesso a contingenti nemici in caso di guerra, verificare la salute delle persone nell’occasione di epidemie. Già con la peste del 1348 si era compreso che il contagio avveniva entrando in contatto con persone malate o indumenti infetti e, di conseguenza, che la peste si diffondeva tramite il movimento di persone e merci».

Il secondo volume della collana «Storia di Salò e dintorni» (che fa seguito a quello pubblicato nel 2019, dedicato agli insediamenti locali sin dalle epoche più remote, alle infrastrutture e all’economia dei secoli successivi, fino al XIV) propone saggi di Fabrizio Pagnoni (Fisionomia di un capoluogo. Scritture, istituzioni, società a Salò e nella Riviera del Garda del Trecento), Giovanni Pelizzari e Ivan Bendinoni (Il capitale umano. Società e famiglie), Monca Ibsen (Arte, devozione, committenza. Chiese e immagini sacre a Salò e nel territorio tra Medioevo e Settecento), Maddalena Bassani (Una statua quattrocentesca nel Duomo di Salò), oltre che dei citati Piotti (La sanità, il lazzaretto e la caccia agli untori), Brogiolo e Varradi (“Restelli” e presidio dei confini al tempo della peste).

Un libro che non può mancare nella libreria di ogni salodiano.

Salò nella carta realizzata nel 1694 da Vincenzo Coronelli, cartografo e cosmografo della Repubblica di Venezia.

 

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