Giornata della Terra: focus su sostenibilità del mondo agricolo

LOMBARDIA - Oggi, 22 aprile, è la Giornata mondiale della Terra. Il pianeta va tutelato a partire da cosa mangiamo e come coltiviamo. Legambiente: "In Lombardia la terra è poca e usata male, occorre fermare il consumo di suolo ma anche cambiare il sistema agroalimentare".

Il 22 aprile si celebra la 52^ Giornata Mondiale della Terra, l’evento globale dedicato alla sensibilizzazione alla tutela del Pianeta.

Quest’anno lo slogan internazionale che chiama tutti all’azione è #investinourplanet e Legambiente Lombardia sceglie di focalizzare l’attenzione sulla sostenibilità del mondo agricolo, settore primario delle economie di tutto il mondo, base della sopravvivenza umana.

Se come sosteneva il filosofo Ludwig Feuerbach “Siamo quello che mangiamo” è allora così evidente che la qualità del cibo non può prescindere dai requisiti delle pratiche messe in atto per coltivarlo, elaborarlo, distribuirlo.

Secondo la banca dati regionale DUSAF, sono ben 350.000 gli ettari di suolo ormai definitivamente persi, sia per gli ecosistemi naturali che per l’agricoltura, in Lombardia, a causa della crescita di urbanizzazioni e infrastrutture. Un dato che non ha eguali in nessuna regione italiana ma che, purtroppo, non sembra essere un deterrente all’uso sconsiderato del suolo per farci capannoni, soprattutto per il voracissimo settore della logistica, oltre che per nuove strade e autostrade.

 

È anche per questo, oltre che per l’abbandono dei terreni montani, che la Lombardia agricola ha visto una continuaerosione delle superfici coltivate: la SAU (Superficie Agricola Utile) è ormai da tempo scesa al di sotto del milione di ettari (per l’esattezza, 987.000 ettari al censimento del 2010): appena l’8% del dato nazionale. A questo territorio, posto prevalentemente in pianura, guardiamo sia per la produzione di cibo che per quella di paesaggio e ambiente. Ma le cose qui non vanno affatto bene: negli ultimi decenni la Lombardia ha visto crescere a dismisura la propria specializzazione zootecnica, arrivando a un carico di bestiame allevato tra i più alti d’Europa. Ed è così che i suoli agricoli si sono malati di ipernutrizione, un problema che diventa un dramma anche per la salute di acqua e aria.

In Lombardia, infatti, vengono allevati 1,5 milioni di bovini, soprattutto vacche da latte, e 4,5 milioni di suini: da sola, la nostra regione totalizza il 51% dei suini allevati e oltre il 40% del latte prodotto in Italia, numeri da capogiro a cui si sommano le produzioni di carni bovine e di pollame. Tutto bene? No, perché il numero dei capi allevati eccede largamente la disponibilità di terreni che servono per produrre i mangimi e i foraggi necessari. Dovendo rifornirsi all’estero per le principali materie mangimistiche (in particolare soia dai terreni deforestati in Sudamerica e mais dall’Est Europa), la nostra zootecnia entra ciclicamente in crisi quando le quotazioni di mercato di queste materie prime finiscono nel mirino della speculazione finanziaria o quando, come sta avvenendo in questi mesi, gravi eventi (guerre, siccità) ne mettono in crisi la produzione a scala globale.

 

Ma il problema non è solo a monte, ma anche a valle: così tanti animali allevati in poco spazio producono montagne di liquami: ERSAF in Lombardia ne stima una produzione in ben 85 milioni di tonnellate annue, tra liquami e letami: come dire 8,5 tonnellate per abitante. Si tratta pur sempre di materie che trovano una collocazione come fertilizzanti, ma è davvero troppo in rapporto ai terreni utilizzabili. L’eccessiva specializzazione produttiva è diventata così un prioritario problema ambientale: avere così tanti liquami da smaltire significa essere costretti a ipernutrire i suoli, e così l’azoto contenuto nei liquami – un ottimo fertilizzante – anziché nutrire le piante finisce con l’accumularsi nei suoli e, da lì, percolare nelle acque sotto forma di nitrati.

La direttiva europea sui nitrati stabilisce dei limiti massimi per il loro impiego nei campi, ma in Lombardia in ben 192 comuni (principalmente nelle province di Brescia, Mantova, Cremona e Bergamo) questi limiti sono superati, anche di 2 o 3 volte, anche conteggiando la sola quota di azoto derivante dai liquami zootecnici, a cui si sommano le altre materie fertilizzanti e quelle derivanti da scarichi civili e industriali. Le cose non vanno meglio per l’aria: l’eccesso di azoto delle deiezioni zootecniche, sotto forma di ammoniaca o anche di protossido d’azoto (un potente gas serra), finiscono in atmosfera, contribuendo in modo sempre più rilevante sia all’inquinamento dell’aria (l’ammoniaca reagisce con gli NOx prodotti dal traffico veicolare formando particolato sottile) che all’effetto serra: il settore agrozootecnico lombardo, secondo gli inventari ISPRA, produce oltre un quarto dei gas serra di tutto il comparto agricolo nazionale (oltre al protossido d’azoto, infatti, gli allevamenti bovini costituiscono la prima fonte emissiva di metano).

 

«Il settore zootecnico lombardo sta affrontando una grave crisi, legata all’aumento dei prezzi dei mangimi oltre che dell’energia e dei fertilizzanti, e per questo ci sentiamo molto vicini al dramma che devono affrontare molti allevatori di fronte all’impossibilità di coprire il costo dei mangimi – dichiara Damiano Di Simine, coordinatore scientifico di Legambiente Lombardia – ma allo stesso tempo pensiamo che questa crisi non vada sprecata: occorre che la nostra regione avvii una ristrutturazione della propria agricoltura, puntando alla differenziazione delle colture e alla qualificazione delle produzioni, usando le risorse della nuova PAC per questo scopo».

Anche i cittadini possono farsi promotori di uno stile di vita sostenibile, avanzando una richiesta di maggior sostenibilità in tutta la filiera alimentare, attenti ad una spesa consapevole sulla stagionalità dei cibi, alla provenienza dei prodotti, all’eticità del mercato, alla sostenibilità degli imballaggi. La sostenibilità delle produzioni di origine animale (carni, salumi, latte e derivati, uova) della Lombardia non è possibile senza una drastica riduzione del numero di animali allevati.

«Occorre un patto tra produttori e consumatori, che devono ridurre i consumi di carni e latticini, e allo stesso tempo richiedere più qualità, che significa essere disposti a pagare il giusto prezzo per questi prodotti, chiedendo in cambio certificazioni di allevamento biologico, di benessere animale e di origine locale dei foraggi impiegati per l’alimentazione degli animali» sottolinea Barbara Meggetto, presidente di Legambiente Lombardia.

 

 

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