Lo stambecco sulle Dolomiti di Brenta: sfida e opportunità

TRENTO - Il punto sulla presenza dello stambecco sull'arco alpino (oggi sono 52mila) e l'idea di una campagna di reintroduzione della specie nel comprensorio delle Dolomiti di Brenta.

Lo stambecco è un animale-simbolo delle Alpi. Nel 1995 venne iniziato anche nell’Adamello trentino un progetto di reintroduzione di questa specie, che ha portato a tutt’oggi, secondo le stime del Parco Naturale Adamello Brenta, allo sviluppo di una colonia di almeno 3-400 esemplari.

Il progetto è stato indubbiamente una scommessa vinta, ed ha raggiunto oggi la sua maturità, anche se deve essere attentamente monitorato e, se necessario, aggiornato. L’altra ipotesi che si sta affacciando è quella di reintrodurre lo stambecco anche sul massiccio delle Dolomiti di Brenta.

Una sfida e un’opportunità, sul piano scientifico, naturalistico e anche turistico, considerato il fascino che questo animale esercita sull’uomo.

Dell’idea si è discusso giovedì 24 novembre in un seminario organizzato dal PNAB al MUSE di Trento (qui sotto la locandina), alla presenza di tecnici ed esperti e dei rappresentanti del Parco dello Stelvio-Trentino e di Paneveggio-Pale di San Martino, nonché di LAV, UNZCA, federparchi, Safari Club e del servizio faunistico della Provincia.

 

I lavori si sono aperti con il benvenuto del presidente del PNAB Walter Ferrazza, che ha anche portato i saluti dell’assessore provinciale all’agricoltura, foreste, caccia e pesca Giulia Zanotelli. A seguire le relazioni riguardanti lo “stato dell’arte”, in Trentino e sulle Alpi, relativamente a questa specie d’alta quota dalla storia travagliata, oggi fortunatamente fuoriuscita dal pericolo di estinzione, e che deve fronteggiare semmai altri problemi, da quello della bassa variabilità genetica agli effetti del cambiamento climatico.

Le ipotesi relative alla reintroduzione della specie nel comprensorio delle Dolomiti di Brenta sono state discusse nel corso di una successiva tavola rotonda.

Positivo il giudizio espresso da tutti gli intervenuti, che hanno anche rilanciato, proponendo di prendere in considerazione un approccio non solo limitato al Brenta ma di respiro provinciale, incrociando risorse, esigenze ed esperienze.

 

Lo stambecco

Lo stambecco (Capra ibex ibex) vive nelle praterie d’alta quota e sulle pareti rocciose. É un animale caratterizzato da grandi corna cave e permanenti, che ha sempre esercitato un grande fascino sull’uomo, basti pensare a quante volte è stato riprodotto in stemmi, marchi, pubblicità.

Questo purtroppo sulle alpi italiane lo ha portato al rischio di estinzione, alla fine del XIX secolo, a causa della caccia indiscriminata. La sua sopravvivenza è stata garantita solo grazie all’istituzione del Parco Nazionale del Gran Paradiso nel 1922, in un’area che già dal 1836 era stata dichiarata riserva di caccia reale. In questo modo precludendo la caccia indiscriminata sul suo territorio (il che aveva portato il numero di esemplari da  un centinaio a 3-4000 già alla fine del diciannovesimo secolo).

In questo che è il più antico Parco nazionale italiano, esteso fra la Valle d’Aosta e il Piemonte, già riserva reale di caccia di Casa Savoia, vivono oggi circa 2700 stambecchi. In tutto l’arco alpino oggi gli stambecchi sono 52.000 circa. Anche in Italia la situazione è positiva, grazie ai 36 progetti di reintroduzione sviluppati nel corso del tempo. La storia della tutela dello stambecco è dunque, allo stato attuale, una storia di successo. Ma non ci si deve fermare qui. Soprattutto se, come sul massiccio del Brenta, vi sono tutte le condizioni ambientali per favorirne la reintroduzione, ripristinando quindi anche in quest’area una presenza che si è persa.

Nel corso della mattinata al MUSE si è parlato innanzitutto di come lo stambecco ha ripreso a convivere con l’uomo – con l’intervento Luca Pedrotti, referente del settore ricerca scientifica del Parco Nazionale dello Stelvio  e grande esperto della materia.

Della vicenda, più recente, che ha riguardato il Parco Naturale Adamello Brenta ha parlato in particolare Andrea Mustoni, referente della ricerca scientifica del Parco Naturale Adamello Brenta. Il tutto era partito negli anni 80 con il progetto di reintroduzione dello stambecco sulle alpi lombarde coordinato dal professor Guido Tosi, uno dei più importanti in termini numerici, che comportò il rilascio di circa una novantina di esemplari, un particolare sulle Alpi Orobie. Successivamente l’attività si spostò sul versante lombardo dell’Adamello, dove si sarebbero dovuti rilasciare 30 esemplari.

Nel frattempo però il Piano faunistico del Parco Naturale Adamello Brenta, redatto dal professor Wolfgang Schröder e approvato dalla Giunta esecutiva a fine 1995, aveva a sua volta previsto la reintroduzione della specie sul versante trentino dell’Adamello. Consultato Tosi, dieci esemplari originariamente destinati alla Lombardia vennero quindi rilasciati in Trentino, in valle di San Valentino.

Altri 13 sono stati rilasciati nel biennio 2016-2017. Nel 1918-19 sono stati rilasciati rispettivamente 16 e 4 capi in val Genova. In totale sono stati rilasciati 43 capi, 21 femmine e 22 maschi. Il progetto è terminato nel 2000. Nel 2006 sono stati rilasciati anche alcuni capi provenienti dalla Svizzera, in un’operazione di restocking (ripopolamento ma anche miglioramento genetico).

Oggi, a distanza di quasi 30 anni dal suo inizio, l’evidenza è che il progetto ha avuto successo. La popolazione di stambecchi va comunque attentamente monitorata. Interventi possono essere ancora realizzati in particolare sul versante del miglioramento genetico.

Anche nel comprensorio delle pale di San Martino un’analoga esperienza, pur se complicata nel periodo 2007-2009 da un’epidemia di rogna sarcoptica, ha portato a risultati positivi. Si stima che in quest’area oggi vivano almeno un centinaio di stambecchi.

Ma l’ipotesi più importante allo studio, illustrata dal presidente Walter Ferrazza e poi oggetto di una tavola rotonda allargata a numerosi soggetti – e che andrà successivamente discussa con tutti gli attori territoriali interessati – è quella di avviare uno studio preliminare che potrebbe portare alla reintroduzione dello stambecco anche sulle Dolomiti di Brenta.

 

Perchè reintrodurlo sulle Dolomiti di Brenta?

Vediamo in sintesi alcune delle principali ragioni a favore di questa ipotesi di lavoro. Innanzitutto, l’ambiente del Brenta è idoneo alla presenza degli ungulati, e in particolare dello stambecco, animale che popola le alte quote.

In secondo luogo, lo stambecco è un animale tendenzialmente stanziale, che si sposta con difficoltà da un comprensorio all’altro. E’ molto difficile quindi che possa diffondersi spontaneamente sul Brenta provenendo dal massiccio dell’Adamello, anche perché l’anello di congiunzione fra i due territori, rappresentato dall’area di Campiglio e di Campo Carlo Magno, è molto densamente popolato, oltre a collocarsi a quote più basse rispetto, ad esempio, alla zona del Tonale (che è a sua volta un anello di congiunzione fra il Parco Adamello Brenta e lo Stelvio)

La presenza dello stambecco sulle Dolomiti di Brenta potrebbe avere inoltre un impatto positivo anche sotto il profilo culturale e turistico. Lo stambecco è uno degli animali che più simboleggiano l’ambiente alpino, un animale la cui memoria è tutt’oggi molto viva.

Nel corso della tavola rotonda hanno preso la parola anche Paolo De Martin, di Unzca, che ha sottolineato l’importanza di una gestione anche venatoria dello stambecco (cosa che già viene fatta ad esempio anche in Alto Adige, compatibilmente con le normative europee vigenti), Vittorio Ducoli del Parco di Paneveggio- pale di San Martino, Massimo Vitturi della LAV, Natalia Bragalanti del Servizio Faunistico PAT e Giampiero Sammuri di Federparchi (intervenuto da remoto). Molte le sollecitazioni emerse, non solo di carattere tecnico. Fra i temi toccati, la necessità di coniugare approccio scientifico ed etico, anche in progetti che tendono a conservare una specie vivente e a incrementare la biodiversità.

Image by Franz from Pixabay.

 

 

 

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