Le Foto fiabe di Enrico Fuochi

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RIVA DEL GARDA – «Foto fiabe» non è solo una mostra fotografica; è un progetto che alle immagini accosta parole e incontri serali di lettura e musica.

Quella di associare alle fotografie anche racconti o brevi scritti è una strada che Enrico Fuochi ha intrapreso da alcuni anni. «Foto fiabe» – che fa seguito a «Foto grafie», raccolta antologica dei suoi primi trent’anni di fotografia, e a «Foto storie», indagine sulla condizione degli immigrati in Trentino – sarà presentato al pubblico sabato 4 ottobre nel cortile della Rocca, presente l’autore, con lettura di alcune fiabe, la musica dell’arpista Flora Vedovelli e la proiezione delle immagini. L’ingresso è libero.

Come nei precedenti libri, anche in quest’ultimo suo lavoro sia la componente fotografica che quella letteraria hanno una propria autonomia, pur integrandosi perfettamente sotto il profilo narrativo e interpretativo. In «Foto fiabe» la tematica delle fiabe, delle favole e dei racconti è affrontata al di fuori degli schemi tradizionali presenti nel repertorio della letteratura giovanile. Questa peculiarità è da attribuire principalmente all’ambientazione delle immagini, create ai giorni nostri in diversi luoghi e nazioni e al quasi sempre presente stile a matrice surrealista che riconduce facilmente all’autore. L’aspetto concettuale, che Fuochi ha sempre definito «componente essenziale che deve essere sempre presente suscitando emozioni e libere interpretazioni in ogni fotografia che ambisca ad appartenere al mondo delle arti visive», gioca un ruolo importante anche in questo suo ultimo lavoro.

Spicca la libertà interpretativa così descritta, in sintesi, da Carlo Martinelli: «… il modo migliore per onorare il viaggio di fiaba di Enrico Fuochi è quello di perdersi nelle 40 immagini che sono l’architrave e l’intima architettura di questo libro. Un perdersi che ritrova però, immediatamente, nelle parole, nei rimandi, nelle memorie che queste fotografie ci segnalano, un’altra fiaba, un altro racconto. Scorrono le 40 fotografie e scorre il nostro personale “c’era una volta”… Il bambino che tiene in mano il sasso è la Palestina; i sassi a formare il disegno concentrico sulla sabbia sono i giochi eterni; la barchetta di carta approdata sulla spiaggia è Ulisse/Enrico… il cane è Rin Tin Tin, è Lassie, è la nostra infanzia che non doveva finire mai; lo sceriffo in mutande è il West che non abbiamo attraversato; l’altro uomo, sempre in mutande, ma con ombrello e valigetta, è l’economia di fronte all’arte; in quel cigno e in quelle oche sul lago c’è tutto: la vita, la morte, la finzione; in quelle mosche sul pianoforte, in quella statua che suona c’è l’immortale Ludwig van; i volti disegnati sulla finestra sono l’home page di una lavagna senza computer. Sì, perché dello stupore non si potrà mai dire “c’era una volta”. Qui c’è ancora. Per fortuna e per sempre».

Ecco alcune foto

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