A Riva del Garda la campagna «Una vita da social»

RIVA DEL GARDA - Farà tappa venerdì 25 febbraio in piazza Battisti a Riva del Garda la campagna educativa itinerante della Polizia di Stato «Una vita da social». I numeri preoccupanti della "guerra dei like" tra i giovani.

Un ragazzo su tre ha un profilo fake sui social, cinque ragazzi su sei controllano sempre chi mette like ai loro post, un minore su due è vittima di violenze, e il dato è in netta crescita per i giovanissimi.

Pochi dati per descrivere la situazione da cui muove l’iniziativa «Una vita da social», la più importante e imponente campagna educativa itinerante realizzata dalla Polizia di Stato nell’ambito delle iniziative di sensibilizzazione e prevenzione dei rischi e pericoli della rete per i minori, realizzata in collaborazione con il Ministero dell’istruzione nell’ambito del progetto «Generazioni connesse».

Un tour di 73 tappe sul territorio nazionale giunto alla nona edizione, partito in novembre da Bologna e che ora, su richiesta dell’amministrazione comunale, giunge a Riva del Garda. Qui la Polizia postale incontrerà, nell’aula didattica multimediale allestita su un autoarticolato, gli studenti delle scuole superiori, i loro genitori e i loro insegnanti, informandoli con un linguaggio semplice ma esplicito, adatto a tutte le età, sui temi della sicurezza online. Gli incontri, causa la pandemia, saranno per gruppi ristretti (una ventina di persone a turno); gli studenti attraverso il diario di bordo su facebook «unavitadasocial» potranno lanciare il loro messaggio contro il cyberbullismo.

«Si tratta di uno dei problemi più gravi e complessi che riguardano il mondo giovanile -spiega il vicesindaco e assessore alle politiche sociali Silvia Betta- e di cui la stampa ci fornisce, tramite fatti di cronaca spesso terribili, solo la punta dell’iceberg. Per questo è dovere di tutti, in particolare delle pubbliche amministrazioni, fare tutto il possibile per affrontarlo. Questa campagna della Polizia postale è una occasione preziosa per parlarne e per fare informazione e sensibilizzazione, ma anche per fornire ai giovani un punto di vista diverso e una prospettiva alternativa, che li aiuti a evitare rischi e sofferenza. Importante anche il lavoro con le famiglie, perché con i social le mura domestiche non sono più luoghi protetti, ma le minacce possono entrare agevolmente».

L’autoarticolato della campagna «Una vita da social», da https://www.commissariatodips.

 

Capire i ragazzi oggi non è sempre per gli adulti compito agevole, soprattutto quando si tratta di comprenderne i bisogni, i modelli di riferimento, gli schemi cognitivi inerenti i diversi gruppi di riferimento che compongono il loro variegato universo. Giovani che sempre più spesso restano «contagiati» da modelli sociali trasgressivi completamente sconosciuti ai genitori.

Sempre più sono i giovanissimi a rischio solitudine che per ore su internet incontrano altri internauti altrettanto solitari che, a volte, sono già stati contagiati dai pericoli del web. Il fascino della rete e la sottile suggestione del messaggio virtuale, così come l’idea di sentirsi anonimi, nonché il senso di deresponsabilizzazione rispetto ai comportamenti tenuti online, stanno dilagando, così da determinare serie preoccupazioni in coloro che ancora credono in valori fino a ieri condivisi.

Per fare della rete un luogo più sicuro occorre continuare a diffondere una cultura della sicurezza online in modo da offrire agli studenti occasioni di riflessione ed educazione per un uso consapevole degli strumenti digitali. I social network infatti sono ormai uno strumento di comunicazione del tutto integrato nella quotidianità dei teenager. Dalla ricerca di Skuola.net per «Una vita da social», però, emergono anche altri fattori interessanti che spesso i millennials e la gen Z tengono ben segreti.

Il sopralluogo compiuto in questi giorni a Riva per individuare la postazione migliore per l’autoarticolato di «Una vita da social».

 

I dati preoccupanti della “guerra dei like”

Emerge, infatti, che un ragazzo su tre, sul proprio social di riferimento, possiede un account falso. Sono circa il 28% quelli che dichiarano di averne uno oltre a quello “ufficiale”, mentre il 5% è presente ma solo con un fake. Perché questa identità anonima? Principalmente per conoscere gente nuova senza esporsi troppo online (26%), oppure per controllare i propri amici senza che loro lo sappiano (21%) nonché per controllare tutti quelli da cui sono stati bloccati (20%).

Non manca chi ricorre ai fake per controllare il proprio partner (10%) o chi cerca di sfuggire dal controllo dei propri genitori (il 4%). Esiste tuttavia uno zoccolo duro, neanche così piccolo, che vive per i like. Per uno su tre, infatti, un contenuto che genera poche interazioni ha un effetto negativo sull’umore.

Mentre il 40%, più o meno sporadicamente, è disposto a cancellare un contenuto dalle scarse performance. Su una cosa, invece, i giovani sono in assoluto accordo: il controllo di chi commenta, condivide o clicca mi piace sui propri contenuti. Solo uno su sei dichiara di non farlo mai. Questo perché attraverso la guerra dei like si costruiscono amicizie e rapporti personali: solo il 56% è disposto a dare un giudizio positivo a un contenuto postato da una persona che in genere non ricambia (il cosiddetto like4like). Mentre sono ancora meno (48%) quelli che non ricorrono mai al like tattico, ovvero all’approvazione di un contenuto altrui col solo scopo di farsi notare.

 

 

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