Chiaretto addio, il futuro nella denominazione “Valtènesi”

VALTENESI - Dopo 3 mandati e quasi 10 anni di impegno, il presidente del Consorzio Valtènesi, Alessandro Luzzago, passa il testimone. Lascia in eredità una nuova percezione nazionale e internazionale della Valtènesi vitivinicola, sprovincializzata e diventata un riferimento per il rosé.

Si avvicina il momento del passaggio di mano al vertice del Consorzio Valtènesi.

Dopo tre mandati, il presidente Alessandro Luzzago non si ricandiderà «Il regolamento non prevede limiti in questo senso – dice  -, ma è il momento di lasciare spazio ad altri, magari a qualche produttore che dall’attività del Consorzio ha ottenuto, più di altri, benefici in termini di visibilità, promozione e vendite».

Tra la fine di quest’anno e l’inizio del 2023  l’assemblea del Consorzio eleggerà i quindici nuovi consiglieri, i quali,  a loro volta, saranno chiamati ad individuare tra di loro il nuovo presidente.

E per Alessandro Luzzago, presidente del Consorzio che nel corso dei suoi mandati ha raggiunto traguardi significativi per il territorio e la sua valorizzazione, è dunque tempo di bilanci. Che traccia nella sua cantina con agriturismo Le Chiusure, a Portese, dove coltiva quattro ettari di vigneto e due di oliveto.

Alessandro Luzzago nella sua cantina, Le Chiusure a Portese di San Felice del Benaco.

 

In questi ultimi dieci anni sono cambiate molte cose. Ma soprattutto – è innegabile – è cambiata la percezione stessa della Valtenesi, grazie al lavoro di una squadra che ha condiviso gli stessi obiettivi, con il direttore Carlo Alberto Panont, manager importante nel mondo del vino, il responsabile promozione Juri Pagani e il coordinatore Fabio Finazzi.

Si è intrapreso un percorso che ora chiede solo di essere confermato e consolidato, «affinché i nostri vini – spiega il presidente – siano identificati con un nome solo, Valtenesi, come già accade per Lugana, Franciacorta o Champagne».

Nel corso della presidenza Luzzago si è compreso che la strada da percorrere era quella di puntare, valorizzare e raccontare quella che è la vera tradizione del territorio, il vino rosa, costruendo attorno ad esso una precisa identità territoriale.

Basta, dunque, alla denominazione «Chiaretto» (che peraltro può generare confusione con il Chiaretto di Bardolino, prodotto sulla riviera veneta) e avanti con convinzione con la denominazione «Valtènesi», come accade per le bollicine della Franciacorta e il bianco Lugana, vini che hanno per nome quello del territorio di produzione.

«Due parole, Chiaretto Valtènesi, per descrivere un vino sono troppe – dice Luzzago -, e Valtènesi, a differenza del termine “chiaretto”, è un nome soltanto nostro, fortemente identitario e territoriale. L’obiettivo è arrivare a far sì che il consumatore che desidera un rosè, al ristorante chieda semplicemente un “Valtènesi”. L’idea è inoltre arrivare un giorno a definire Valtènesi solo il vino rosa e per i rossi utilizzare un’altra denominazione».

«Oggi – dice il presidente – abbiamo un obiettivo più ambizioso rispetto a quello di vendere semplicemente vino. Se prima lo scopo era vendere il vino ai turisti che arrivano sul Garda in estate, ora, grazie lavoro consortile, si vende un’idea di territorio». Che peraltro è proprio ciò che cerca il consumatore dei giorni nostri.

 

Much more than a colour

«Il racconto del territorio attraverso il vino rosa – continua Luzzago – rappresenta peraltro le fondamenta su cui sono stati costruiti due progetti di grande rilevanza per il territorio: il progetto Rosa Autoctono, il patto tra i consorzi che producono vini rosé, in questo momento dormiente a causa del Covid ma pronto a rimettersi al lavoro, e la partnership Rosé Connection con la Provenza, colosso mondiale nella produzione del rosé».

Con i cugini francesi (un sistema da 27mila ettari e 150 milioni di bottiglie annue) il Consorzio Valtènesi sta attuando un progetto triennale da 2 milioni di euro per la promozione in Germania, Belgio ed Olanda (ne avevamo scritto qui).  Il claim della campagna è «Much more than a colour», molto più di un colore.

Ma è chiaro che, al di là dei risultati attesi sul fronte promozionale e commerciale, essere stati scelti come partner dai campioni mondiali del vino rosa è per il Valtènesi un attestato di qualità rilevantissimo. Accostare il Valtènesi ai rosè della Provenza potrà garantire un salto di qualità enorme in termini di immagine, percezione e riconoscibilità internazionale.

 

Da sinistra: Eric Pastorino presidente CIVP (Conseil Interprofessionel des Vinst de Provence) e Alessandro Luzzago.

 

I numeri del valtènesi

Il Consorzio associa 96 produttori che coltivano una superficie vitata di circa mille ettari, in maggioranza a Groppello. In Valtènesi si producono più di 4,6 milioni di bottiglie, di cui 2 milioni di rosé.

Il rapporto rosa-rosso negli anni si è ribaltato: oggi il Consorzio registra una produzione pari a due terzi divino rosa e un terzo di vino rosso.

La prossima sfida, conclude Luzzago, sarà «allargare l’area della denominazione Valtènesi, che ora è sottozona del Riviera Garda Classico Doc, sull’intero territorio del Consorzio, fino a Pozzolengo. Siamo ancora in una fase transitoria, ma abbiamo intrapreso la strada che ci porterà a far considerare il nostro rosè il migliore d’Italia. Una volta ottenuto questo risultato, sarà più facile valorizzare anche il nostro fantastico rosso».

 

 

 

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