Il medico degli ottomila che ama il lago di Garda

LAGO DI GARDA - Un provvidenziale intervento sanitario alla Caminàa Storica Trail, uno dei massimi esperti mondiali in medicina di montagna, due alpinisti impegnati su un paio di ottomila e una camera climatica estrema. Sono gli ingredienti di questa bella storia che ci racconta Enzo Gallotta.

Il Garda, il Monte e gli ottomila. Sono lontane migliaia di chilometri, a est, le vette più alte del pianeta. Ma talvolta capita che i nostri passi ne incrocino altri solitamente impegnati su altre strade. Il lago nostro, terra d’elezione per viaggiatori romantici nell’Ottocento, non può fare eccezione. Ed è questo il caso che porta uno dei maggiori esperti di medicina d’emergenza in montagna, il dottor Hermann Brugger, di casa a Bolzano, ad eleggere Navazzo quale luogo di periodico riposo. A questa sua presenza sul Monte, e all’amicizia che lo lega ad Aurelio Forti (nella foto sopra, col dott. Brugger, sulla cima del Tombea), infaticabile motore trainante del Gruppo sportivo Montegargnano, si deve la positiva conclusione di un momento critico a conclusione della Caminàa Storica Trail.

La storia si lega così al ruolo professionale del medico, all’avanzata struttura di ricerca in cui ha responsabilità di vertice a Bolzano e alla spedizione in corso d’opera di due alpinisti di nome, l’altoatesina Tamara Lunger e il bergamasco Simone Moro, dalle parti di un paio di ottomila su cui Reinhold Messner ha lasciato inevitabilmente la firma, qualche anno fa. Ma andiamo con ordine.

Gli alpinisti Tamara Lunger e Simone Moro.

 

Il malore dopo il Trail. Correvano gli ultimi giorni dello scorso settembre, un centinaio gli atleti impegnati sulle montagne sopra Gargnano. Trail nazionale Fidal, evento importante, messo in cantiere dal Comitato organizzatore di Bvg Trail. Tutto fila via liscio, almeno fino a quando poco dopo aver tagliato il traguardo – in posizione numero 17, per chi è scaramantico – Gabriele Gatti, 38enne bresciano in forza al Gp Pellegrinelli, accusa un malore.

Accade al punto di ristoro. Tempestivo quanto provvidenziale il primo intervento dell’equipaggio dei Volontari del Garda, coordinati dal vicepresidente e responsabile sanitario Luca Cavallera, presente con l’ambulanza nell’area di arrivo, al campo sportivo dell’Oratorio di Navazzo. Si presta il primo soccorso. I volontari intuiscono che potrebbe non trattarsi di un semplice malessere. Presente sul campo, per motivi d’amicizia quanto per scrupolo professionale, viene chiamato Hermann Brugger, medico di gara. In quei giorni in vacanza nella sua casa sull’altipiano gardesano. Esperienza e occhio clinico non gli fanno certo difetto. Valuta la situazione e decide. In pochi minuti viene richiesto l’intervento dell’eliambulanza, il cui profilo giallo vivo si staglia all’orizzonte, accanto al Pizzocolo, in tempo utile. L’atleta viene rapidamente portato all’Ospedale Civile di Brescia, dove è sottoposto ad un intervento chirurgico. Tutto finisce bene, con più di un sospiro di sollievo generale. E qui si apre l’altra parte della storia.

L’equipaggio dei Volontari del Garda.

 

Da Navazzo a Bolzano. Il tamtam delle voci di sottofondo svela in seguito quel come molti non sapevano. E non sanno. Lo raccontiamo per colmare la comune ignoranza e rendere completo il quadro che sta dietro. Ovvero il ruolo professionale che il nostro medico di gara, amico del Garda e di Navazzo, svolge nella quotidianità nel capoluogo altoatesino. E di cui parla con semplicità. Nell’accezione nobile che si deve al sostantivo. Cioè nel rendere facilmente accessibile ciò che può non essere tale, per i più almeno.

Ed eccolo svelato il retroscena. Peraltro non celato. All’arrivo di quel trail era in servizio un medico più che “attrezzato”. Hermann Brugger è infatti uno specialista, responsabile dell’Istituto di Medicina d’emergenza in montagna che ha sede a Bolzano, nel Parco tecnologico pubblico dell’Alto Adige, il NOI Techpark, poco lontano dal casello autostradale. Lì ha sede Eurac Research, accademia privata europea fondata nel 1992, che ha in corso 54 progetti di ricerca avanzata. In particolare nello studio dell’acclimatamento e del de-acclimatamento. Dall’uomo all’industria.

Dalle Alpi al Karakorum. “Nell’area chiamata ex Gil – spiega Brugger – sulla superficie di una vecchia fabbrica di alluminio, la Alumix, dismessa negli Anni Settanta, è stata realizzata una struttura unica al mondo”. Sette anni per realizzarla, ora realtà inaugurata a marzo 2019. Il centro in cui Hermann Brugger lavora è il più avanzato al mondo per la simulazione di climi estremi. Si chiama “terraXcube” (altre info qui) ed è un sofisticato insieme di strumenti e attrezzature tecnologiche in grado di simulare condizioni climatiche estreme.

In particolare, in una grande camera ipobarica dotata da strumentazioni avanzate, dislocata su 360 metri quadrati, i ricercatori possono portare la temperatura fino a meno 40 gradi centigradi come a più 60, simulare vento a 120 chilometri all’ora e far nevicare. Non poteva sfuggire l’occasione a Simone Moro e Tamara Lunger, volati pochi giorni fa in Pakistan ed ora al campo base per preparare la salita alla vetta del Gasherbrum I e il concatenamento al Gasherbrum II. Due montagne sopra gli ottomila nella catena del Karakorum, in Himalaya.

“Siamo con loro, ci sono entrati nel cuore” dice Hermann Brugger. Che con i due alpinisti ha trascorso quasi un mese. La fase di acclimatamento artificiale è infatti stata portata a conclusione verso la fine del 2019, tra novembre e dicembre, all’interno di “terraXcube”. Dove fisiologi e medici, diretti da Brugger, hanno registrato le diverse fasi di acclimatamento fino ad una quota di 6.400 metri nella camera ipobarica. Per poi raggiungere gli ottomila. “L’acclimatamento è stato perfetto – racconta ancora lo specialista -. Abbiamo registrato, giorno dopo giorno, tutte le funzioni vitali, le capacità di adattamento e le reazioni del loro organismo all’alta quota“. Al ritorno dei due alpinisti, il team di “terraXcube” potrà poi osservare gli impatti della particolare situazione ambientale sul cuore, sulle funzioni respiratorie, cognitive e metaboliche e registreranno per quanto tempo il corpo rimane acclimatato una volta sceso di quota.

Foto scattata da Simone Moro al dott. Brugger e ai suoi collaboratori.

 

“Allenamento” come sull’ottomila. “Eseguiti i primi controlli – racconta ancora Brugger – Tamara e Simone hanno dapprima dormito nella camera ipobarica, durante il giorno si sono allenati all’esterno. A seguire, due settimane di permanenza quasi continua all’interno della camera ipobarica, dove si sono allenati anche su una cyclette. E’ stata l’occasione per monitorare due soggetti in un contesto perfettamente controllabile e controllato, cioè nella camera climatica del terraXcube. Conoscere sempre più a fondo come l’organismo reagisce all’ipossia, cioè la carenza d’ossigeno in quota, vuol dire migliorare la sicurezza delle spedizioni alpinistiche, ma anche di chi lavora ad alta quota, come squadre di soccorso e missioni umanitarie, per esempio in occasione del terremoto in Nepal, piloti o operai impegnati nella realizzazione di strade o dighe”.

Nel frattempo ci sono stati contatti e scambi di informazioni con altri studiosi e ricercatori di Zurigo, Padova e Innsbruck impegnati nell’approfondire ulteriormente la conoscenza della fisiologia umana. Studi che potranno avere in futuro sviluppi per le ricerche sul diabete, l’ipertensione ed altre patologie. Una trasferta anche negli Stati Uniti, dove la Nasa è interessata all’attività dei ricercatori di Bolzano.

Tamara Lunger durante l’osservazione.

 

Dove osano le aquile. La parola, ora, è passata ai protagonisti. “A 35 anni dall’estate del 1984, quando Reinhold Messner e Hans Kammerlander realizzarono la prima salita e traversata delle due cime, il Gasherbrum I (8.068 m) e il Gasherbrum II (8.035 m), vogliamo vivere la stessa avventura, ma nella stagione più difficile, l’inverno, tentando di concatenare le due vette. Nessuno in tutti questi anni ha mai ripetuto questa traversata, neppure d’estate – ha affermato Simone Moro alla partenza -. Divideremo il progetto in due: tenteremo inizialmente la salita del Gasherbrum I, raggiunto per la prima volta in inverno il 9 marzo 2012 dagli alpinisti polacchi Adam Bielecki e Janusz Golab (salita mai più ripetuta). La seconda parte sarà l’ascesa del Gasherbrum II partendo direttamente dal colle che separa le due cime”. Nel frattempo si allenano al campo e in questi giorni sono saliti fino a 5.400 metri (poi seguire l’impresa tramite i canali social di Simone Moro, come la sua pagina Facebook). In bocca al lupo.

“Vi aspetto a Bolzano”. Saluto e invito che il dottor Brugger invia a Tamara e Simone. Ma pure agli amici del Monte, per visitare la struttura avveniristica in cui lavora. Dove la pressione è bassa, la temperatura rigida e oltre, il vento impetuoso. E può nevicare, come sull’Everest. Manca solo un cielo più blu. Per questo ci si sta attrezzando, ma sul Garda già ci siamo.

Enzo Gallotta

L’alpinista Simone Moro.

 

 

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