Crisi idrica: a rischio agricoltura, fauna ittica e rete idroelettrica

PIANURA PADANA - Piogge dimezzate da inizio anno. Pianura a secco e bacini montani in deficit di 4 miliardi di metri cubi d’acqua. Riserve disponibili mai così scarse. Legambiente: “Siamo in emergenza climatica, devono cambiare colture e consumi idrici in agricoltura evitando inutili battaglie per l’acqua”.

La pianura lombarda è assetata come non mai: secondo i dati della rete di centraline del CML – Centro Meteo Lombardo, in oltre metà delle località di pianura dotate di pluviometri quest’anno non si sono raggiunti nemmeno i 150 mm di precipitazioni, ovvero meno di un terzo delle piogge cumulate che normalmente cadono tra gennaio e giugno.

La situazione più grave riguarda la pianura risicola, tra la provincia di Pavia e quella di Lodi. Non va meglio sui rilievi appenninici dell’Oltrepò, dove i torrenti sono in secca e in diversi centri della Valle Staffora si sta iniziando a razionare la fornitura idrica.

Ma ciò che è più grave è la assenza di rifornimento dai bacini alpini, che in questo periodo dovrebbero beneficiare ancora delle acque del disgelo: la neve quest’anno è invece da tempo scomparsa anche alle quote più alte, e con il caldo che spinge lo zero termico ad altitudini superiori ai 4000 metri, ciò che sta fondendo, con un anticipo di un mese e mezzo, sono le nevi e i ghiacci ormai non più ‘perenni’. In ogni caso si tratta di apporti largamente insufficienti a far fronte alla sete dei campi.

Secondo i dati periodicamente aggiornati da ARPA Lombardia, i bacini montani dei grandi fiumi da cui dipende la gran parte dei fabbisogni agricoli e industriali presentano un inedito deficit di precipitazioni: da inizio anno nel bacino montano dell’Adda sono caduti 270 mm di pioggia, è andata un po’ meglio nella catena orobica in cui mediamente si sono misurati 340 mm. Per confronto, negli ultimi 4 anni, la precipitazione misurata nello stesso periodo dell’anno, era pari a circa 460 mm nel bacino dell’Adda e a 660 in quelli di Brembo e Serio. Complessivamente, da inizio anno si è accumulato un deficit pluviometrico nei bacini alpini valutabile in circa 4 miliardi di metri cubi d’acqua.

A farne le spese sono stati in primo luogo i laghi prealpini, che funzionano da enorme serbatoio il cui rilascio è gestito dagli enti regolatori che manovrano le dighe degli emissari modulando la portata dei grandi fiumi (Ticino, Adda, Oglio, Chiese e Mincio) per rispondere ai fabbisogni dei grandi utilizzatori idrici, e in particolare dei consorzi irrigui.

Il Garda è l’unico che dispone ancora di oltre la metà del suo volume di invaso, mentre la situazione è critica per il Verbano, il cui livello è ormai sotto lo zero idrometrico e che sta riducendo i rilasci di portata, ed anche per il Lario, in cui il livello sta scendendo al ritmo di 7 cm al giorno: se non pioverà, per il lago di Como il limite minimo di regolazione sarà raggiunto in soli 8-10 giorni, davvero troppo poco per i fabbisogni delle grandi aree di pianura che dipendono dai canali che pescano dall’Adda. Da inizio anno, secondo le misure degli Enti Regolatori dei laghi, alla contabilità idrica del Verbano sono mancati 2.260 milioni di mc di afflussi, mentre ne sono mancati 920 milioni al Lario, 400 milioni al Sebino, 130 milioni all’Eridio e 400 milioni al Benaco.

Inutile fare troppo affidamento sulle acque dei bacini idroelettrici montani: anche loro sono ben al di sotto della loro capacità. Le dighe dell’intero bacino montano dell’Adda, ad esempio, contengono solo un terzo della capacità complessiva di invaso, pari a 515 milioni di mc. Ma è un’acqua preziosa i cui rilasci vanno gestiti con grande attenzione, perché siccità e caldo potrebbero presto rendere critica l’alimentazione della rete elettrica, considerando anche che le centrali termoelettriche hanno bisogno di tanta acqua per il raffreddamento, e che nei fiumi da cui la prelevano ce n’è sempre meno.

«Quello che da anni si paventava per il futuro oggi sembra già essere una realtà. Si preannuncia una battaglia dell’acqua tra i grandi utilizzatori, ma la coperta è corta per tutti: non ci sono grandi margini di contesa di una risorsa idrica che non è mai stata così scarsa – constata Barbara Meggetto, presidente di Legambiente Lombardia – e che deve vedere i fiumi rappresentati nei tavoli istituzionali, ‘legittimi proprietari’ dell’acqua che preleviamo a scopi produttivi. Occorre, infatti assicurare che il deflusso sia garantito lungo tutte le aste fluviali, per evitarne la morte biologica: derogare all’obbligo di deflusso vitale porterebbe pochissimi vantaggi in termini di disponibilità idrica in agricoltura, ma causerebbe danni ambientali potenzialmente irreparabili».

Dal territorio e dalla cronaca arrivano già numerose testimonianze della sofferenza dei fiumi lombardi, dovute alla scarsa portata e ai suoi effetti sulla concentrazione di inquinanti, l’eutrofizzazione e il surriscaldamento dell’acqua, che con il procedere della stagione rischia di determinare morie generalizzate della fauna ittica.

«Al punto in cui siamo occorre fare ogni sforzo per limitare i danni all’agricoltura, ma come ripetiamo da anni il problema vero non è la scarsità di acqua, ma il fatto che ne utilizziamo troppa in un quadro climatico ormai cambiato – dichiara Damiano Di Simine, responsabile scientifico di Legambiente Lombardia – Da sempre la nostra è la regione italiana di gran lunga più dotata di riserve idriche, ma da due decenni queste riserve non sono più una garanzia di disponibilità illimitata. Occorre introdurre tecniche irrigue più efficienti, e anche modificare gli ordinamenti colturali, diversificando le colture oggi dominate dalle due specie in assoluto più esigenti in termini irrigui, il riso e soprattutto il mais».

L’associazione mette anche in guardia rispetto a quelle che appaiono come facili soluzioni, ad esempio la creazione di piccoli invasi per lo stoccaggio idrico: «i piccoli invasi possono essere interessanti per realtà che ne sono prive, ma la Lombardia ha una capacità di stoccaggio idrico imponente. Tra bacini idroelettrici e grandi laghi prealpini possiamo gestire una capacità di invaso di oltre 2,5 miliardi di metri cubi. Affrontare spese enormi per aumentare di uno o due punti percentuali il potenziale di stoccaggio idrico davvero non pare una risposta efficace, rischia di diventare un diversivo per ritardare le azioni prioritarie, che sono le politiche e gli investimenti per la riduzione dei fabbisogni idrici dell’agricoltura lombarda» concludono da Legambiente Lombardia.

Il fiume Po in secca.

 

 

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