Coronavirus, Lombardia lancia la Banca del plasma iperimmune. Coinvolti gli avisini

LOMBARDIA - La Lombardia lancia la "Banca del plasma iperimmune". Uno studio pilota del San Matteo di Pavia. Le Ats contatteranno i guariti. Poi Avis inizierà la raccolta a partire dalle aree più colpite della Lombardia.

Lo hanno annunciato il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, e l’assessore al Welfare, Giulio Gallera, nel corso della conferenza stampa di presentazione dello studio pilota sul plasma iperimmune, condotto dal Policlinico San Matteo di Pavia, rappresentato dal presidente Alessandro Venturi, dal direttore generale, Carlo Nicora, e dai professori Fauso Baldanti, Raffaele Bruno e Cesare Perotti.

In collegamento video è intervenuto anche il direttore generale dell’Asst Poma di Mantova, Raffaello Stradoni.

banca plasma iperimmune

Dal San Matteo Pavia Protocollo per la donazione

Il San Matteo di Pavia, da martedì 12 maggio, dunque, definirà il Protocollo per la donazione, successivamente inizierà la raccolta del sangue e del plasma. I primi a essere contattati dalle Ats saranno i guariti. A quel punto, Avis inizierà la raccolta a partire dalle aree più colpite della Lombardia.

L’idea è quella di estendere la sperimentazione su numero significativo di malati, in modo da provare il plasma come strumento di cura.

Fontana: dallo studio del San Matteo una grande speranza contro il Covid

“I risultati dello ‘studio pilota’ condotto dall’Irccs San Matteo di Pavia, applicato anche dall’ospedale ‘Carlo Poma’ di Mantova – ha detto Fontana – accendono una grande speranza per contrastare il coronavirus“. “Lunedì 11 maggio – ha continuato – è un giorno importante per la Lombardia che, prima in Italia, ha completato una sperimentazione sull’utilizzo del plasma iperimmune condivisa con altre regioni italiane e all’estero, con gli Stati Uniti, che lo stanno già utilizzando nelle loro strutture sanitarie. Nella mattinata ho avuto un colloquio con il ministro Speranza, che ha confermato la grande attenzione del Governo nei confronti dello studio del San Matteo di Pavia che intende estendere su tutto il territorio nazionale”.

Gallera: siamo orgogliosi

“Siamo molto orgogliosi – ha sottolineato Gallera – di questo risultato. La Regione Lombardia è abituata a lavorare seguendo regole e protocolli così da evidenziare poi i risultati ottenuti. Siamo l’unica Regione che ha un protocollo con risultati strutturati. Ma ciò che abbiamo fatto lo abbiamo già messo a disposizione del Paese, abbiamo dati tracciati su buon numero di pazienti. La strada scelta è stata dettata dalla scienza e ha l’obiettivo di salvare il maggior numero di vite possibili”.

Un donatore illustre: Gianpietro Briola, presidente di AVIS Nazionale, Associazione Volontari Italiani Sangue, ex provinciale dell’Avis Provinciale di Brescia.

 

Il coinvolgimento dell’Avis

Anche i donatori Avis fanno parte del progetto della Banca del plasma e potranno sottoporsi al test sierologico per vedere se hanno sviluppato gli anticorpi al Covid-19.

Saranno coinvolti anche i 34mila avisini attivi della provincia di Brescia: «Avis informerà i donatori circa lo possibilità di sottoporsi al test sierologico – ha dichiarato al Giornale di Brescia il presidente di Brescia, Gabriele Pagliarini -. Saranno loro a decidere se firmare o meno il consenso per l’analisi del sangue e di conseguenza per la donazione del plasma iperimmune».

«Già da settimane, per via dell’emergenza sanitaria – ha spiegato ancora Pagliarini -, le donazioni avvengono solo su appuntamento, in modo da evitare assembramenti. Tutti i donatori, inoltre, sono sottoposti a uno screening per accertarci che siano in buona salute e non abbiamo dunque sintomi associabili al Covid-19. Per i nuovi donatori abbiamo creato un’equipe che li riceverà solo in determinate fasce orarie e sempre su appuntamento».

 

 

Le fasi del progetto e i risultati illustrati dai ricercatori

Alla conferenza stampa convocata nell’auditorium Testori di Palazzo Lombardia, Carlo Nicora, direttore generale del Policlinico San Matteo di Pavia, parlando del plasma iperimmune da pazienti Covid, ha illustrato il progetto di studio pilota iniziato 17 marzo e concluso l’8 maggio, intitolato ‘Plasma da donatori guariti come terapia per pazienti critici’.

Il titolo scientifico completo è ‘Plasma da donatori dalla malattia da nuovo Coronavirus 2019 (Covid-19) come terapia per i pazienti critici affetti da Covid-19’.

plasma immune conferenza stampa

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Il plasma donato da soggetti convalescenti/guariti – ha spiegato – è stato già utilizzato per la terapia di varie malattie infettive. E, anche se la dimostrazione della sua efficacia e sicurezza richiede ulteriori studi, vari ricercatori hanno segnalato un effetto positivo. In termini di riduzione della carica virale, della risposta infiammatoria alle citochine e della mortalità”.

Plasma iperimmune efficace

Di fatto, quanto sperimentato e che rientrerà in una pubblicazione scientifica che uscirà nei prossimi giorni, ha dimostrato che “la mortalità dei pazienti in terapia intensiva era tra il 13 e il 20 per cento – ha riferito il professor Fausto Baldanti, virologo del San Matteo di Pavia – e il nostro primo obiettivo era verificare se la terapia con plasma iperimmune riducesse la perdita di vite umane. Abbiamo sperimentato che, utilizzando la nostra tecnica, la mortalità si è ridotta al 6 per cento”.

Ridotta mortalità dei pazienti

“In altre parole – ha detto ancora Baldanti – da un decesso atteso ogni 6 pazienti, si è verificato un decesso ogni 16 pazienti. Contemporaneamente constatavamo – ha aggiunto – che i parametri erano migliorati al termine della prima settimana, così come la polmonite bilaterale, calata in maniera drastica”.

Questa strategia è stata utilizzata fin dall’inizio del secolo scorso, ma ha ricevuto un crescente interesse nella terapia della MERS (Middle East Respiratory Syndrome da coronavirus), nella influenza aviaria (H1N1 e H5N1), nella SARS (Severe Acute Respiratory Syndrome) e nella infezione da Ebola.

Le tappe dello studio

“L’idea di effettuare questo studio – ha ricordato Nicora – è nata nella prima decade di marzo, tra la seconda e la terza settimana in cui il Covid-19 era presente in Lombardia”.

‘Nella prima decade di marzo – ha chiarito Nicora – quando è stato scritto il protocollo di studio, il Ministero della Salute Italiano il giorno 9 segnalava 8.514 persone positive, di cui il 59,2% ricoverati con sintomi, il 10,3% ricoverati in terapia intensiva; il 30,5% in isolamento domiciliare, il 9,9% guariti’.

I ricercatori hanno pensato quindi di studiare l’effetto della immunizzazione passiva somministrando anticorpi specifici contro il Coronavirus contenuti nel plasma ottenuto dai soggetti guariti.

L’uso terapeutico del plasma

In base a quanto evidenziato dalla letteratura scientifica, “l’uso di plasma da donatori convalescenti – ha detto ancora il direttore generale del San Matteo di Pavia – potrebbe avere un ruolo terapeutico, senza gravi eventi avversi nei pazienti critici affetti da COVID-19; la possibilità di disporre di donatori locali offre il valore aggiunto di dare una immunità specifica acquisita contro l’agente infettivo proprio del ceppo locale, in considerazione del fatto che in altre aree il ceppo potrebbe essere differente; la possibilità di raccogliere il plasma mediante procedura di plasmaferesi con rapidità ed efficacia, mettendolo immediatamente a disposizione del paziente che ne abbia necessità, rappresenta in questo momento una possibilità terapeutica ulteriore”. “Oltre a questi aspetti – ha proseguito – ad oggi non esistono studi in letteratura che ne dimostrino la fattibilità e l’efficacia nell’ambito dell’epidemia mondiale di SARS-CoV-2”.

Il professor Fausto Baldanti si è poi soffermato sugli aspetti più tecnici relativi alla immunizzazione passiva. Cioè la somministrazione di plasma che contiene anticorpi specifici contro il Coronavirus.

“La prima domanda alla quale i ricercatori sono stati chiamati a rispondere – ha sottolineato Baldanti – era relativa a quali e quanti potevano essere gli anticorpi anti coronavirus presenti nel plasma dei guariti; la seconda: individuati gli anticorpi neutralizzanti, una volta trasferiti passivamente, avrebbero potuto favorire un miglioramento della situazione clinica?”

Gli obiettivi che i ricercatori si sono posti sono stati 3: studiare se usando il plasma diminuiva la mortalità nel breve periodo, se questo producesse miglioramenti dei parametri respiratori e di quelli legati all’infiammazione.

Gli anticorpi neutralizzanti

“Prendendo il siero di pazienti che hanno superato l’infezione (a due settimane dal primo caso) e aggiungendolo a colture cellulari – ha detto Baldanti – abbiamo visto che il virus si fermava. Quindi c’erano anticorpi neutralizzanti. Bisognava sapere quanti erano presenti”.

Misurare l’efficacia

L’altro elemento da chiarire era fino a che punto la diluizione del siero manteneva la sua efficacia contro il virus. Per spiegarlo, il prof. Baldanti ha fatto l’esempio della diluizione del vino in acqua: fino a quando diluendo il vino nell’acqua riusciamo a distinguerne ancora il sapore? Di qui l’applicazione di un parametro che in linguaggio scientifico si definisce ‘Titolo’ e serve per capire quale diluizione di siero è ancora in grado di uccidere il virus in coltura. Il risultato ottenuto ha accertato che il rapporto è 1:640, ossia diluendo 640 volte il plasma di un paziente, questo riesce a uccidere il virus.
Prime 3 settimane da inizio epidemia.

Procedura per ottenere il plasma

“Una volta stabilito il plasma da raccogliere, bisogna raccoglierlo bene, in sicurezza – ha detto Cesare Perotti, Direttore servizio Immunoematologia Policlinico San Matteo Pavia – e in modo rapido. Possiamo fare tutto questo grazie ai separatori cellulari che sono delle apparecchiature in funzione in almeno 36 centri in Lombardia e quindi è una possibilità di raccolta molto vasta e molto ampia, però c’è un percorso, chi si siede a donare il plasma convalescente, quindi è guarito dalla patologia, deve garantire la sicurezza di avere in circolo questi anticorpi”.

Percorso di triage

“Il percorso – ha detto ancora – è un percorso di triage. Quindi comporta un lavoro di rintracciamento del soggetto, arruolamento con visita medica accurata, perché non va dimenticata la sicurezza del donatore. E, una volta fatto questo percorso, finalmente il paziente convalescente si siede e, in circa 35-40 minuti, si riesce a ottenere una quantità di plasma standardizzato di circa 600 ml. La quantità ottimale da infondere è circa 300 ml. Quindi da un solo paziente convalescente si ottengono due dosi di plasma per le cure”.

‘Terapia solidale’

“Quella della plasma iperimmune da pazienti Covid – ha rimarcato – è una ‘terapia solidale’. E si può fare in tutta sicurezza. Grazie a queste apparecchiature che sono a disposizione di qualsiasi centro in Lombardia, ma non solo, che è in grado di farle funzionare”.

Selezione del campione

Il professor Raffaele Bruno, direttore di Malattie Infettive al Policlinico San Matteo di Pavia ha chiarito la fase di selezione del campione di pazienti protagonisti dello studio pilota. “Questi studi – ha chiarito – si fanno su un numero di pazienti limitato. Gli studi pilota servono a testare un’idea, per capire se si può operare in sicurezza, con determinati criteri. Il nostro era quello di verificare l’efficacia del plasma. Confermata l’idea si può passare a studi con numeri superiori”.

Criteri per la selezione

“Criteri di selezione dei pazienti – ha spiegato – erano che avessero di più di 18 anni, il tampone positivo, evidenziassero distress respiratorio. Ovvero difficoltà di respirazione tali da necessitare supporto di ossigeno o necessità di intubazione. E che ci fosse una radiografia al torace positiva che mostrasse la polmonite interstiziale bilaterale. Nonchè – ha continuato – che avessero caratteristiche respiratorie tali da far preoccupare il clinico sulle loro condizioni”.

Studio pilota con 46 pazienti

“Sono stati arruolati  ha sottolineato – 46 pazienti, l’ultimo l’8 di maggio. Abbiamo finito il follow up che prevedeva come termine la mortalità a una settimana e il non ingresso in rianimazione”. “L’arruolamento dei pazienti ha interessato – ha spiegato – Mantova e Pavia. Con un paziente proveniente da fuori regione, da Novara. Sette erano intubati. E tutti avevano necessità di ossigeno. Senza essere in età avanzata”.

Un raggio di speranza

“Noi dobbiamo ringraziare l’Università di Pavia per il grandissimo lavoro scientifico che è stato fatto prima di cominciare in clinica – ha spiegato Raffaello Stradoni, Direttore Generale dell’Azienda Socio Sanitaria Territoriale di Mantova – devo dire che quando sono arrivate le prime sacche da Pavia per i nostri clinici è stato un cambio di passo – ha ammesso -; la cosa che mi ha colpito, io ero in Unità di crisi, è stato vedere persone prima disperate perché non riuscivano a gestire i pazienti, avere finalmente un raggio di speranza. Non conosco ancora gli esiti della sperimentazione, ma sono molto convinto che saranno positivi, proprio per questo motivo’”

Trattamento facile da effettuare

“A colpirmi è stata anche la facilità di questo trattamento terapeutico – ha detto Stradoni – che davvero è a disposizione di ogni centro trasfusionale”. “Noi – ha proseguito – abbiamo un ottimo centro trasfusionale che però non è universitario, siamo un’azienda provinciale, tuttavia il nostro centro è stato in grado di raccogliere una grande quantità di sacche. Anche con l’aiuto dei donatori. E ringrazio Avis, che ha lavorato egregiamente, e questo ci ha consentito di raccogliere rapidamente il numero di soggetti che ci era stato assegnato”.

Il team di Mantova

“Tramite poi tutta l’organizzazione che abbiamo a Mantova – ha sottolineato – che è un’équipe consolidata, siamo riusciti a produrre e a fornire dati che adesso verranno valutati. Devo dire che è un trattamento molto efficace a mio parere – ha aggiunto Stradoni – poi i medici si esprimeranno meglio di me ed è una cosa che ci è servita anche per ridare la speranza, e la possibilità di andare avanti”.

Iniziativa lodevole

“Non posso far altro che ringraziare chi ha pensato a questa iniziativa veramente lodevole – ha concluso – e ci ha consentito di agganciarci”.

 

 

 

 

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